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23/12/24 ore

Pagan Pride 2012: una celebrazione d’eclettismo libertario



È difficile credere che i giardini di Villa Doria Pamphilj a Roma assomiglino ai boschi sacri dell’Italia preromana o possano vagamente ricordare le brughiere spazzate dai venti e punteggiate di rovine celtiche e dolmen neolitici della Cornovaglia meridionale.

 

Ciò nonostante tutti gli anni, il sabato più vicino all’Equinozio d’autunno, basta allontanarsi di poco dai sentieri più frequentati del parco, raggiungere una radura tra i cespugli in prossimità del Casino Corsini, per ritrovarsi in un’atmosfera vagamente fiabesca, atemporale, circondati da creature pittoresche ed ospitali qui riunite per officiare e celebrare Mabon, arcaica festività rurale che ringraziando le divinità della terra per i frutti ricevuti ed impetrando benessere e prosperità per l’anno venturo chiude, secondo molte tradizioni, la stagione del raccolto.

 

 

È il Pagan Pride Italia, che quest’anno s’è svolto sabato 22 settembre, evento ormai storico (alla sua dodicesima edizione) collegato con il più vasto movimento dell’International Pagan Day Project, che si propone soprattutto di promuovere l’autentica comprensione d’una realtà tanto variegata quanto fraintesa come la rinascita della spiritualità pagana nel nostro paese e nel mondo.

 

Tra affettuose pacche sulle spalle ed abbondanti libagioni di benvenuto a base d’ottimo idromele fatto in casa, m’imbatto subito in Vanth Spiritwalker, anima dell’evento ed eccellente padrone di casa, che m’insignisce all’istante d’una spilla con un pentacolo stampato sopra, la cui funzione è contare il numero dei partecipanti – circa trecento oggi, ed in continuo aumento anno dopo anno – illustrandomi frattanto il programma della giornata.

 

Come tutti gli anni infatti sono previsti diversi seminari su temi come le rune sull’Albero Sacro di Yggdrasil o l’uso dei talismani nordici, inerenti il recupero di pratiche e tradizioni che, lungi dall’essere dimenticate nei recessi d’epoche remote, si rinnovano oggi con nuovo vigore ed un eclettismo che non ammette pregiudizi culturali, in barba alle farneticazioni anti-relativistiche di certi revanscismi degni delle pagine più buie della Controriforma. 

 

 

 

Difatti il cosiddetto “neopaganesimo” non è strutturato come una confessione unitaria con un clero, dei dogmi, forme più o meno pressanti di fideismo o proselitismo, quanto piuttosto come una vasta, multiforme, corrente culturale che in sé racchiude ed accoglie molti nuovi movimenti religiosi, anche diversissimi tra loro.

 

Si spazia da religioni ispirate ad una ripresa delle antiche spiritualità pagane sorte principalmente nel corso degli ultimi decenni come la Wicca (probabilmente la tradizione più nota e seguita) ad altre che si rifanno in maniera più corretta possibile dal punto di vista storiografico allo sciamanesimo, ai riti druidici, alla “Vecchia Religione” o stregheria italiana, alla religiosità tradizionale romana, rivendicando una presunta continuità con passate esperienze religiose politeiste (cosiddetto ricostruzionismo), fino ad arrivare a sistemi di credenza totalmente nuovi, impregnati di satira creativa (penso al cosiddetto “discordianesimo”, parodistica religione che s’incentra sul culto di Eris, dea Greca del caos nota ai latini come Discordia, nata dalla mente geniale e caustica dell’americano Greg Hill alla fine degli anni cinquanta), forme di devozione e filosofie di vita che s’intrecciano con un’apertura mentale emozionante, loro malgrado stigmatizzate dalla malizia d’una sistematica disinformazione.

 

E sebbene la visione del mondo, l’idea del divino o dell'essere umano varino profondamente tra una religione neopagana e l'altra, esiste una tacita condivisione di valori comuni caratterizzati da un approccio naturalistico, umanistico all'esistenza.

 

Potremmo dire più precisamente che questi culti trasformano in afflato trascendente e ricerca spirituale tutta una serie d’esigenze e temi già ampiamente diffusi in Occidente: l’inviolabilità della libertà individuale come diritto di concepire e vivere privatamente la sfera del sacro, lo sforzo tutto “postmoderno” di conciliare la cultura del presente con eredità ancestrali e, cosa più importante e caratteristica, la realizzazione d’una maggiore coscienza sociale ed ecologica basata sul rispetto dell’essere e della natura in tutti i loro aspetti. 

 

 

Per questo motivo molti movimenti neopagani si definiscono o sono spesso definiti come religiosità della Terra.

 

Forse risiede proprio qui l’autentico senso, la necessità profonda, di manifestazioni come questa: celebrare le proprie credenze, pacificamente, nell’accettazione delle reciproche differenze, nel riconoscimento di quegli elementi comuni che caratterizzano oggi come ieri le più varie manifestazioni del senso religioso, fornendo ad eventuali – benvenuti - curiosi prospettive realistiche su stili di vita ancora travisati, dissipando l’ombra di falsi miti frutto d’ignoranza e strumentalizzazione purtroppo caratteristiche della nostra penisola, dove i culti alternativi sono guardati ancora con sospetto differentemente da quanto si verifica, ad esempio, nel Regno Unito che ha dato piena dignità e riconoscimento al druidismo, alla Wicca. Dove siti archeologici d’importanza nazionale come Stonehenge vengono concessi ad eventi simili. Dove atti di discriminazione verso coloro che praticano queste forme di spiritualità vengono giustamente sanzionati a norma di legge.

 

E mentre chiacchieriamo di questo ed altro, mentre fanciulli suonano il flauto con aria sognante e giovinette in abiti medievali distribuiscono dolcetti ai cereali, mentre rispettabili signore di mezz’età si mescolano con giocosità ad hipsters dalla testa angelica, a cibernetici punk coperti di tatuaggi, noto come due macchine della polizia stazionino nelle vicinanze e questa vista mi fa realizzare di colpo quanto profondo sia l’effetto che la peggiore propaganda mediatica, associando queste realtà magari folcloristiche, forse eccentriche, certamente pacifiche, a chissà quali indimostrate efferatezze, produce sull’opinione pubblica nazionale.

 

 

Il fatto è che culti di questo tipo, dall’approccio totalmente eterogeneo che mescola in maniera disinvolta spiritualità, spettacolarità, magia, mettono ovviamente in crisi concezioni irrigidite, classiche, della religione provocando – non solo in Occidente – cambiamenti di prospettiva che, sebbene limitati ad ambiti finora ristretti, sono la spia di mutamenti profondi nell’inconscio collettivo, nella percezione del sacro a livelli sociali più ampi.

 

Chiaro che questi cambiamenti generino dissensi, senso d’insicurezza, che spesso sfociano in intolleranza manifesta specie se supportati da montature mediatiche di facile presa e scarso approfondimento. Faccio segnatamente riferimento all’annosa, scontata pubblicistica che tende a confondere neopaganesimo e satanismo.

 

Posto che ci sarebbe da discutere sulla presunta pericolosità d’un fenomeno spesso esagerato dai mezzi di comunicazione di massa come il cosiddetto “satanismo”, nello specifico non ha senso includere in questo calderone nebuloso culti che si rifanno a forme di spiritualità assolutamente precristiane, vere radici della cultura europea, o con un approccio squisitamente pop come la Società Discordiana o la Church of All Worlds (ispirata all’opera di R.Heinlein).

 

E l’accusa di “satanismo” tanto spesso citata a proposito di religioni minoritarie è tanto più grave quanto ci riporta istantaneamente a tempi più cupi della storia europea, periodi illuminati dalle fiamme spaventose dei roghi.

 

 

Mentre giunge il momento culminante della giornata, il rituale pubblico, e ci concentriamo attorno ad un altare silvano ricoperto di fronde e frutta, preso da queste elucubrazioni mi viene da riflettere sull’etimologia stessa della parola sacrificio, così spesso utilizzata a sproposito, come spauracchio, dalle fiere fanfare del luogo comune quando si parla di nuove religioni, delle loro “oscure” pratiche: il sacrificio (dal latino sacer + facere, "rendere sacro") è quel gesto rituale con cui dei beni vengono tolti dalla condizione profana e consegnati al sacro, consacrati con un atto di volontà ad una o più entità sovrumane, come atto propiziatorio o di adorazione.

 

Si tratta d’una pratica gentile che nulla ha a che fare con estremismi, con atti di violenza, tutte le religioni ne conservano la propria specifica versione (l’accensione d’una candela ai santi nella religione cattolica ne è un esempio comune) ed ecco che stiamo compiendo un sacrificio pagano, mentre suona il tamburo e riuniti in un cerchio ci accingiamo a spargere in aria dei semi distribuiti dagli officianti nelle vesti dei quattro elementi (aria, acqua, fuoco, terra), rendendoli sacri, riconsegnandoli al divino insito nella natura stessa che ce li dona mentre Vanth ed Erika, sacerdote e sacerdotessa, nei panni della Dea e del Dio primigeni, necessarie polarità da cui scaturisce tutta la vita, attirano silenziosamente su di noi l’attenzione dei Superni in un vortice d’energia quasi palpabile. 

 

 

 

E se è la prosperità che evochiamo oggi, possiamo dire che l’incantesimo sta funzionando osservando l’abbondante riserva di cibo per animali donato dai numerosi partecipanti, da dare in beneficenza alle colonie feline ed ai canili cittadini come tutti gli anni (cibo per wic-cani suggerisce sardonico qualcuno dei presenti!).

 

 

L’astro solare comincia a declinare, filtra meno canicolare tra le fronde di Villa Pamphilj mentre mi ritrovo sbracato sull’erba a rimirare – sazio del lauto pasto offerto da tutti i partecipanti in condivisione – le danze sacre del Clan della Lupa Argentea. Sono colpito dalla vivacità spettacolare dei costumi, rigorosamente auto-confezionati, indossati dalle danzatrici: una sorta d’esotica combinazione d’elementi arcaici e mediorientali, mediterranei nel senso minoico del termine tanto che potrei quasi dire che qualcuna delle fanciulle esibisca le braccia avvolte da serpenti come la Potnia di Cnosso nei lenti movimenti circolari che sembrano mimare l’eterno balletto delle sfere celesti - o forse è semplicemente l’idromele che sta facendo il suo dovere! – finché è tempo di partire. Ci si rivede l’anno prossimo, sempre qui, per un’altra liberatoria celebrazione di “nuova” spiritualità…

 

Ivan D. Woland

 

(foto di Gianni Carbotti)


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