di Gianni Carbotti e Camillo Maffia
Si rincorrono sul web due tipi di notizie, in merito ai campi nomadi nella Capitale: leggende e boutade, come dimostra il fatto che sono le stesse che circolano dall'insediamento della giunta Raggi in Campidoglio. La prima è l'immediato smantellamento del campo nomadi di Castel Romano (secondo alcuni; qualche altro è più propenso a parlare del campo La Barbuta), la seconda è l'annuncio di un “codice di condotta” per i rom e i sinti che risiedono nei villaggi attrezzati della Capitale.
Per quanto riguarda lo smantellamento, avverrebbe secondo il sistema del “bonus-affitto”: le famiglie indigenti otterrebbero un contributo comunale fino a ottocento euro al mese della durata di due anni per potersi trasferire in un'abitazione. I più attenti noteranno che si tratta della stessa proposta che fece scalpore alla presentazione del “piano nomadi”, e che fu a lungo propagandata in merito a Camping River, l'area smantellata fra le polemiche durante la scorsa estate in cui risiedevano oltre 400 persone.
In realtà, non ci risulta che questa misura abbia mai preso piede, al di là del fatto che, come abbiamo già fatto notare, nessuno affitterebbe il proprio appartamento a un indigente che come garanzia ha unicamente un assegno del Comune, il quale dovrebbe fornirglielo teoricamente per due anni, ma in pratica può ritirarlo in qualunque momento unilateralmente laddove l'amministrazione ritenesse che il cittadino rom non abbia rispettato le regole previste dal progetto capitolino. In altre parole, quest'idea di superare i campi coi bonus-affitto, già criticata quando è stata proposta, circola ormai da un bel pezzo, ma non ci risulta che un solo container sia stato rimosso in virtù di tale soluzione abitativa, ammesso che la si voglia definire così.
Quella invece del “codice di condotta” rientra nelle boutade che periodicamente vengono prodotte dal Campidoglio sulla questione dei campi, e che sembrano perlopiù inseguire il bizzarro; ricordiamo l'idea del “mental coach”, la figura che avrebbe dovuto “persuadere” i rom a lasciare il campo per andare a svolgere un mestiere, senza però procurargliene materialmente uno.
All'opinione pubblica, però, sfuggono spesso queste ripetizioni, perché anche in queste ore il dibattito si disperde nella leggenda metropolitana dei “rom ricchi” che risiederebbero nei campi, veri e propri paperoni dotati di limousine (magari con chaffeur) i quali, non si sa se in virtù d'un capriccio o di semplice stravaganza, nonostante gli ingenti patrimoni gradirebbero abitare nei fatiscenti villaggi attrezzati (si fa per dire) della Capitale, ovvero immersi nel degrado assoluto, in aree dove oggi manca la corrente elettrica e domani l'acqua potabile, fra cumuli d'immondizia, discariche abusive e colonie di ratti.
Da anni a Roma si getta fumo negli occhi ai cittadini con operazioni propagandistiche, in cui vengono buttate in mezzo alla strada famiglie accusate di possedere un reddito superiore a quello consentito per alloggiare nel campo (con tanto di titoloni sui quotidiani a proposito dei “rom ricchi”): in realtà, accade piuttosto spesso che il reddito dei “colpevoli” non venga calcolato in base al codice ISEE, ma all'effettivo ammontare dei risparmi sul conto in banca, senza considerare che 40.000 euro per una famiglia di sette persone, se sono stati messi da parte in anni di raccolta dei rottami, non bastano a definire ricco quel nucleo famigliare al punto di privarlo dell'assistenza.
E infatti gli sgomberati fanno ricorso, e generalmente lo vincono; ma una volta usciti dal tribunale la sentenza non gli giova granché, perché il loro container nel frattempo è stato distrutto o assegnato a qualcun altro.
Ma, si obietterà, alla giunta Raggi va riconosciuto il merito d'aver tagliato l'enorme flusso economico che aveva generato lo scandalo relativo all'accoglienza nei campi nomadi, eliminando i bandi alle cooperative e alle associazioni incaricate della gestione, della manutenzione, della scolarizzazione... Si dà il caso che anche questa, purtroppo, sia una leggenda. Soltanto pochi mesi fa veniva pubblicato dal Dipartimento Scuola un avviso per individuare un soggetto del terzo settore a cui affidare i servizi di “inclusione scolastica” dei bambini residenti nei campi nomadi.
Complessivamente i servizi sono stati sì tagliati, ma in modo disordinato e inefficace, contribuendo al degrado e all'emergenza umanitaria che si consuma sempre più nei campi, cui si sono andati sommando gli sgomberi ordinati dopo l'insediamento di Matteo Salvini al Ministero dell'Interno a partire da quello di Camping River(che, ricordiamolo, era un campo-modello sul piano della scolarizzazione e dell'avviamento al lavoro, prima della interminabile querelle tra il Comune e la cooperativa, culminata nell'incomprensibile sgombero che ha messo di fatto le famiglie in una condizione senza via d'uscita).
La verità è che la giunta Raggi ha bloccato ben tre milioni e ottocentomila euro del PON Città Metropolitane per il superamento di tre insediamenti: La Barbuta, la Monachina e Camping River. I primi due sono rimasti là dov'erano e il terzo è stato evacuato dall'oggi al domani.
Quelli del PON sono fondi europei che, nonostante la propaganda della giunta, non erano affatto destinati ai soli campi nomadi, ma avrebbero ben potuto essere destinati alle emergenze sociali e strutturali da cui la città, che nei giorni natalizi ha fatto notizia nel mondo per via dell'incredibile degrado, è afflitta ormai in modo insostenibile per i cittadini; al contrario, i fondi europei destinati specificatamente ai rom e previsti dalla Strategia nazionale d'inclusione non ci risulta siano mai stati richiesti, in quanto detta Strategia non è mai stata implementata, al punto che non c'è stata alcuna convocazione del Tavolo amministrativo con i soggetti competenti.
Non c'è stato infatti nessun ripensamento del sistema dell'accoglienza, che ben sarebbe potuto avvenire laddove si fossero avviati progetti frutto di un confronto con il terzo settore e il coinvolgimento delle famiglie interessate secondo i parametri e gli schemi di governance che l'Italia ha proposto nel 2012 all'Unione Europea, la quale ha ratificato gli impegni presi dal nostro Paese mettendo a disposizione i fondi strutturali che sarebbero stati, come si dice a Roma, “una mano santa” per una metropoli piagata da disfunzionalità in ogni ambito della vita urbana, ma che non sono mai stati impiegati per il superamento dei campi.
Il taglio evidente dei servizi, che i sostenitori dei “grillini” contrappongono alla emorragia economica che ha caratterizzato le gestioni passate, rientra piuttosto in quell'immobilismo amministrativo che si può riscontrare nella gestione delle questioni sociali quanto in quella dei rifiuti, al punto che non si può più buttare la spazzatura in un cassonetto a Roma a meno di voler infilare delle galosce e camminare su una distesa d'immondizia che esonda dai bidoni stracolmi. Un immobilismo che è esemplificato dalla vicenda Camping River, in cui il Comune si è mostrato dapprima totalmente incapace di garantire i servizi di base e poi ha utilizzato l'emergenza sanitaria consequenziale come motivazione per uno sgombero volto unicamente a gettare i residenti in uno stato di prostrazione peggiore di quello in cui versavano quando abitavano nel villaggio.
Il Movimento 5 Stelle ha contrapposto alla Strategia nazionale d'inclusione una sua strategia che si è concretizzata in una serie di annunci, nell'abbandono dei villaggi a se stessi, negli appalti dati “a macchia di leopardo” in assenza di una visione d'insieme, e negli sgomberi sporadici che non rientrano neppure in quella pretesa di “decoro urbano” cara ai sostenitori della ruspa, perché non sono stati sgomberati insediamenti abusivi al fine di condurre gli abitanti dentro villaggi regolarmente allestiti dal Comune, ma è stato fatto l'esatto contrario, al punto che l'area attrezzata che verteva di fatto nelle condizioni migliori (benché inaccettabili in un'ottica di rispetto dei diritti umani), Camping River, è stata smantellata senza alternative concrete, provocando appunto la creazione di baraccopoli spontanee.
Una dinamica a cui abbiamo assistito anche nell'ambito più ampio dell'accoglienza agli immigrati: ne è un perfetto esempio lo sgombero del centro di via Scorticabove, come abbiamo documentato, in cui 120 rifugiati sudanesi sono stati buttati fuori dall'immobile in cui vivevano da circa quindici anni, nonostante fossero ben inseriti nel tessuto sociale del quartiere; le richieste d'incontro della comunità, che in seguito all'evacuazione forzata si era accampata sulla strada, hanno ricevuto come risposta un secondo sgombero, che ha provocato la dispersione dei rifugiati.
È inutile specificare che un individuo o una famiglia in difficoltà (siano essi rom, immigrati o italiani) non migliorerà la sua condotta civica se viene spinto gratuitamente alla disperazione, privato arbitrariamente anche dei diritti più basilari, così come un bambino avrà minori probabilità di finire le scuole e diventare un cittadino onesto se viene buttato per strada senza alcuna logica ravvisabile.
La politica del Movimento 5 Stelle a Roma si riduce così a una serie di leggende, dai rom paperoni cacciati dal campo al contributo all'affitto per uscirne, passando per il persuasore comunale. In tale contesto va inserita la notizia del “codice di condotta” per i rom, che farebbe sorridere se non si stesse assistendo a una tragedia in cui quello dei campi nomadi non è che un volto dell'ormai innegabile sfacelo urbano in cui la giunta Raggi sta facendo sprofondare la Capitale.
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