Nelle more di una legislazione carente, inadeguata e foriera di mille interpretazioni, a dettare legge in Italia sono sempre di più le sentenze dei giudici. Così, il primo caso di adozione gay del Belpaese ha avuto il sì dal Tribunale per Minorenni di Roma, che ha riconosciuto l’adozione di una bimba che vive in una coppia di donne, figlia biologica di una sola delle due conviventi. A renderlo noto – riferisce l’Ansa- è stata Maria Antonia Pili, legale con sede a Pordenone e presidente di Aiaf Friuli.
La coppia anni fa aveva fatto ricorso all’estero al metodo della procreazione assistita eterologa per realizzare un progetto di genitorialità condivisa. Il Tribunale ha accolto il ricorso presentato per ottenere l'adozione della figlia da parte della mamma non biologica, la "stepchild adoption", già consentita in altri Paesi.
Le due donne, sposate all'estero, si erano rivolte all'Associazione italiana avvocati famiglia e minori, per procedere con il ricorso per l'adozione.
''Le due mamme – ha spiegato l’avvocato Pili - hanno dapprima intrapreso e portato a termine un percorso di procreazione eterologa all'estero e, dopo la nascita della bambina, hanno stabilmente proseguito nel progetto di maternità condividendo con ottimi risultati compiti educativi ed assistenziali, nonché offrendo alla minore una solida base affettiva''.
Il ricorso è stato accolto sulla base dell'articolo 44 della legge sull'adozione del 4 maggio 1983, n. 184, come modificata dalla legge 149 del 2001, il quale contempla l'adozione in casi particolari. "Ovvero – ha specificato ancora Pili - nel superiore e preminente interesse del minore a mantenere anche formalmente con l'adulto, in questo caso genitore 'sociale', quel rapporto affettivo e di convivenza già positivamente consolidatosi nel tempo, a maggior ragione se nell'ambito di un nucleo familiare e indipendentemente dall'orientamento sessuale dei genitori. La norma in questione infatti - ha aggiunto - non contiene alcuna discriminazione fra coppie conviventi siano esse eterosessuali o omosessuali".
Secondo Pili, dunque, il Tribunale per i Minorenni di Roma "ha correttamente interpretato la norma di apertura" già contenuta nella legge sull'adozione. "Non si è trattato, come ben argomenta sul punto la sentenza, di concedere un diritto ex novo, ovvero di creare una situazione prima inesistente, ma di garantire nell'interesse di una minore la copertura giuridica a una situazione di fatto già consolidata, riconoscendo così diritti e tutela a quei cambiamenti sociali e di costume che il legislatore ancora fatica a considerare, nonostante - ha concluso - le sempre più diffuse e pressanti rivendicazioni dei moltissimi soggetti interessati".
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