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17/11/24 ore

La fame cronica dei rifugiati in Africa


  • Francesca Pisano

E’ un dramma nel dramma, quello che affligge 800.000 rifugiati in Africa. A denunciarlo lo scorso 1° Luglio, davanti ai rappresentanti dei Governi, nel corso di una riunione a Ginevra, sono stati congiuntamente il Direttore Esecutivo del Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite (WFP), Ertharin Cousin, e l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), Antonio Guterres. Hanno parlato dei tagli nelle razioni alimentari per queste popolazioni, dovuti a gravi difficoltà nel trovare finanziamenti, mancanza di sicurezza nelle aree interessate e problemi di tipo logistico.

 

Proprio per questo hanno rivolto un appello ai governi donatori, affinché supportino con 186 milioni di dollari l’operato del WFP, in maniera tale che, almeno fino alla fine del 2014, possa essere riattivata la distribuzione delle razioni di cibo necessarie ed evitati ulteriori tagli.

 

Sono 2,4 milioni i rifugiati in 22 Paesi dell’Africa che necessitano degli aiuti del Programma Alimentare Mondiale per nutrirsi, la metà di loro sono bambini, per i quali è messa a rischio la possibilità di sopravvivere, oltre a quella di avere un futuro. Un terzo di queste persone ha subito la riduzione delle razioni di cibo, fra loro i rifugiati in Ciad sono stati colpiti da tagli superiori al 60 per cento. In Repubblica Centrafricana, 450.000 hanno perduto almeno il 50% del sostegno che avevano; le percentuali si riducono fra il 5 e il 43 per cento, senza recuperare alcun aspetto di tipo rassicurante, per i 338 mila rifugiati in Liberia, Burkina Faso, Mozambico, Ghana, Mauritania e Uganda.

 

Va tenuto presente poi che fra il 2013 e il 2014, improvvise riduzioni nelle razioni di cibo hanno riguardato anche i campi rifugiati di Kenya, Etiopia, Repubblica del Congo, Repubblica Democratica del Congo e Camerun, per cause strettamente connesse in alcuni case alla mancanza di sicurezza in questi Paesi, condizione sostanziale che ha inficiato la distribuzione degli alimenti.

 

La grande vulnerabilità che affligge queste persone, costrette a fuggire dai luoghi in cui vivevano originariamente, per aver subito atti di persecuzione e di violazione dei diritti umani fondamentali, fa sì che sin dall’arrivo nei Paesi di accoglienza abbiano bisogno di un’assistenza alimentare di emergenza. A questa si può provvedere solo sulla base dell’assistenza internazionale, visto che i Paesi in cui approdano non dispongono dei mezzi necessari al sostentamento.

 

“E’ inaccettabile – sostiene Guterres dell’UNHCR – che al giorno d’oggi, nel mondo dell’abbondanza, i rifugiati debbano affrontare la fame cronica o che i loro figli siano costretti ad abbandonare gli studi per aiutare le famiglie a sopravvivere”; il rischio è che rimangano in secondo piano, perché purtroppo “il numero delle crisi umanitarie supera di gran lunga il livello dei finanziamenti per le operazioni umanitarie”.

 

Anche piccoli tagli nell’alimentazione necessaria a queste persone già denutrite possono comportare conseguenze disastrose e fra i soggetti più vulnerabili vi sono i bambini. La malnutrizione che li colpisce dal concepimento ai primi due anni può comprometterne per tutta la vita la salute, sia per quanto riguarda la crescita fisica che lo sviluppo cognitivo. La scarsità di cibo opprime poi, ulteriormente, i rifugiati affetti da HIV/AIDS, malaria e altre malattie; una non corretta alimentazione mette in pericolo le cure e il recupero di queste persone, rendendole più ricettive a nuove infezioni, senza considerare che per facilitare l’assorbimento dei farmaci è necessario nutrirsi.

 

La lotta per la sopravvivenza li spinge inoltre a ricorrere sempre più spesso a quelle che nel rapporto congiunto UNHCR-WFP - pubblicato in concomitanza della riunione di Ginevra - sono chiamate strategie di adattamento negative”. Esse consistono di fatto nell’abbandono della scuola da parte dei bambini che cercano di lavorare per aiutare le loro famiglie, nella prostituzione di donne e ragazze, in matrimoni precoci, aumento di soprusi e violenze all’interno delle famiglie, abusi su donne che tentano di trovare una possibilità allontanandosi dai campi, aumento dei furti e della delinquenza che compromettono gli equilibri precari fuori dai campi e al loro interno.

 

UNHCR e WFP hanno sì sollecitato i governi donatori a supportare con finanziamenti il fabbisogno nutrizionale delle persone rifugiate, ma hanno rivolto anche ai governi africani l’invito a mettere a disposizione terreni agricoli, pascoli, accesso ai mercati locali e quindi a riconoscere realmente il diritto al lavoro, affinché venga conseguita una maggiore autosufficienza. Tutto questo, in base a quanto indicato nel rapporto, per porre un argine al “circolo vizioso di povertà, insicurezza alimentare, deterioramento dello stato nutrizionale, aumento del rischio di malattie”, oltre che di pericolose strategie di adattamento e – allo stesso tempo – per “garantire che gli investimenti passati e futuri nel campo della nutrizione e della sicurezza alimentare vengano preservati”.

 

 


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