Dopo la votazione finale si è levato un applauso. Perché il via libera della Camera a larghissima maggioranza al cosiddetto ‘divorzio breve’ è finalmente, inaspettatamente, una buona notizia. Con 381 sì, 30 contrari e 14 astenuti l’Aula di Montecitorio ha infatti licenziato la proposta di legge che accorcia i tempi dello scioglimento del matrimonio a soli 12 mesi in caso di contenzioso e a 6 mesi per la consensuale, riducendo così notevolmente la durata della permanenza in purgatorio alla quale sono stati finora condannati i separati italiani.
Il testo, che passa ora al vaglio del Senato, prevede che il ‘divorzio breve’ venga applicato anche ai procedimenti in corso e stabilisce inoltre lo scioglimento della comunione dei beni nel momento in cui il giudice autorizza i coniugi a vivere separati o quando si sottoscrive la separazione consensuale.
Ed ecco che, a 40 anni dal momento in cui si sancì la possibilità di sciogliere giuridicamente il vincolo matrimoniale, il diritto di famiglia segna un punto nella sua partita per la coppa della modernità, della libertà, del rispetto dei diritti fondamentali.
Una scelta di laicità, quella effettuata dai deputati italiani, che si pone in netto contrasto con la posizione di chi, come il cardinale Angelo Bagnasco (ma non solo), considera i tre anni di separazione finora necessari per poter divorziare come una “possibilità di far decantare l’emotività e le situazioni di conflitto”.
Rimanere prigionieri di un’unione che dilati i tempi di quel conflitto, castrando volontà e desideri, inasprendo ancor di più ri-sentimenti e rendendo acida quell’emozione a cui si voleva dar respiro, quello no, non conta per i sostenitori del sì per tutta la vita. Come se quella di divorziare fosse una scelta facile, una questione di inchiostro e di anulari dove del cerchio di un anello rimane solo l’ombra sbiadita. Dietro una firma e un atto formale c’è sempre un addio, più o meno facile, ma sempre un addio; l’abbandono di un progetto comune, la disillusione, la delusione, la rabbia. Il cambiamento.
Il divorzio è un abbandono e le sue ragioni sono personali, intime, per certi versi inaccessibili. Per questo motivo non si può e non si dovrebbe parlare di una deresponsabilizzazione di fronte ad una scelta impegnativa come quella del matrimonio, o di una crisi valoriale che ha investito il suddetto intoccabile istituto: unione e separazione fanno parte del ciclo della vita e non sarà certo l’accorciamento del tempi per ottenere il divorzio a cambiare la natura dei legami.
Le ragioni del tanto temuto sfaldamento della famiglia tradizionalmente intesa non sono di certo rintracciabili nelle soluzioni a breve termine che uno Stato di diritto pone in essere per tutelare la libertà dell’individuo, tanto più che rimanere invischiati nella ragnatela di un matrimonio infelice certamente non giova alle persone che quella famiglia dovrebbe proteggere e formare: i figli.
Senza contare, per esser più veniali, il peso delle spese legali e la mole di lavoro che ricade sui Tribunali: In Italia, infatti, in media per un divorzio congiunto bisogna aspettare almeno 4 anni, considerando i tre anni di separazione e i tempi tecnici per l’emissione del provvedimento.
Perciò, spiega in una nota Alessandro Gerardi, tesoriere della Lega Italiana per il Divorzio Breve e componente del Comitato Nazionale di Radicali Italiani, da sempre in prima linea nella lotta alle lungaggini italiane in tema di divorzio, “il via libera della Camera è una buona notizia nell’ottica di rendere più rapidi i tempi per giungere al divorzio e per ridurre i contenziosi. Rimaniamo comunque convinti – aggiunge Gerardi – che così come avviene in quasi tutti i Paesi europei ed extraeuropei, non sia sufficiente accorciare i tempi di durata della separazione, ma che occorra piuttosto rendere facoltativo e non più obbligatorio il passaggio stesso della separazione legale”. 1 a 0, insomma, e palla al centro.
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