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17/11/24 ore

Tortura, sì del Senato al reato comune



Il Senato dice sì, e la tortura diventa reato. Il ddl Manconi, passato in Aula con 231 voti favorevoli e 3 astenuti, dovrà ora avere l'ok della Camera ma, a conti fatti, è quasi scontato il via libera e il successivo inserimento nell'ordinamento italiano di un provvedimento necessario ogni oltre misura, come da anni continuano a sottolineare le istituzioni europee e le associazioni per i diritti umani.

 

Una “buona notizia”, un “passo avanti”, ha definito la decisione del Senato il ministro della giustizia Andrea Orlando, soddisfatto di una mossa che “colma finalmente una lacuna giuridica ed adegua l’ordinamento italiano a quello internazionale”.

 

Il decreto prevede l’introduzione degli articoli 613 bis, che disciplina il delitto di tortura, e 613-ter, che incrimina la condotta del pubblico ufficiale che istiga altri alla commissione del fatto: la pena inflitta può andare dai tre ai dieci anni, ma nel caso sia un pubblico ufficiale a commettere il reato l’aggravante porta la pena da quattro a dieci anni.

 

Ed eccola, l'anomalia, l'incogruenza tipica di un'Italia che reitera il compromesso, senza realmente rifarsi all'ordinamento internazionale: il testo approvato da Palazzo Madama è stato infatti opportunamente 'ritoccato' dalla commissione Giustizia, che ha ritenuto di dover considerare il reato di tortura come un reato comune: il fatto che sia commesso da un pubblico ufficiale, dunque, sarà solo un aggravante.

 

Il che, in poche parole, equivale a rendere insensata l'introduzione di un crimine che è considerato avulso dalla sua stessa natura. Come già spiegato dal senatore Luigi Manconi, promotore della legge, “connotato essenziale della tortura è l'abuso di potere che consente al pubblico ufficiale o a chi eserciti pubbliche funzioni di infliggere alla vittima un trattamento che ne viola la dignità e il diritto a non essere strumentalizzata per fini che la trascendano”.

 

Se, dunque, si sradica il reato di tortura dal terreno specifico dell'abuso di potere istituzionale, non considerandolo un reato proprio, il rischio è quello di mantenere un pericoloso status quo scandito da una serie di episodi 'eclatanti' (vedi Cucchi, Uva, Aldrovandi, Diaz ecc) che continueranno a impantanarsi in quale remoto limbo giuridico.

 

Sarebbe “un grave errore”, dunque, come ha dichiarato l'Unione camere penali italiane, approvare una legge secondo cui, di fatto, “la condotta prevista (il reato di tortura, ndr) finisce per sovrapporsi a quelle prese in considerazione da altri reati già esistenti, invece quel che doveva essere chiaramente e severamente sanzionato è proprio il fatto che la persona nelle mani dello Stato sia sottoposta a violenze fisiche o morali, questo per il particolare disvalore che tale fattispecie dimostra”.

 

Ciò che va fatto, dunque, è collegare il reato di tortura agli arbitri del potere, classificandola come un reato proprio di quei pubblici ufficiali che abusano delle proprie funzioni, di uno Stato democratico di diritto che priva della libertà i suoi cittadini per perseguire – anche in loro nome – interessi pubblici. Una modifica inevitabile che, ora, toccherà alla Camera apportare a un testo “pasticciato e deludente”. (F.U.)


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