In Olanda è tempo di bilanci. A dieci anni dall’emanazione di una legge che autorizza l’eutanasia e il suicidio assistito, uno studio del ZonMw, organizzazione olandese per la ricerca sanitaria e lo sviluppo, rivela che l’apertura olandese non ha prodotto i risultati sperati.
Secondo il report, pubblicato giovedì scorso su Lancet e basato sullo studio dei registri di mortalità olandesi, infatti, la percentuale di morti per eutanasia, prima e dopo l’introduzione della legge, sarebbe rimasta pressappoco invariata. Dati alla mano, infatti, tra il 1990 e il 2001 il tasso di casi di eutanasia e suicidio assistito sarebbe salito dall’1.9% al 2.8% per poi scendere a 1.8% a partire dal 2005, nel periodo immediatamente successivo alla legalizzazione, e risalire nuovamente nel 2010 a 2.9%.
I fautori di un cambiamento della legge hanno preso la palla al balzo, sottolineando come i risultati dello studio siano la dimostrazione palese dell’impossibilità di ottenere un margine di miglioramento della situazione attraverso l'aumento del numero di persone che sceglierebbero l’eutanasia.
Ben altre sarebbero invece le conclusioni cui giungono gli oppositori, secondo i quali il report evidenzierebbe piuttosto un incremento nel ricorso a metodi affini al suicidio assistito, come la “sedazione continua e profonda” (CDS), riguardo i quali non è chiaro il modo in cui questi sono stati classificati e conteggiati nel rapporto. Secondo molti, infatti, un’attenta lettura dello studio porterebbe a conclusioni differenti.
I casi, ad esempio, di quella che è comunemente nota come “eutanasia lenta” sarebbero, infatti, aumentati da 5.6% nel 2001 a 12.3% nel 2010, come afferma Peter Saunders, direttore della campagna promossa dal gruppo Care Not Killing, secondo il quale inoltre “il ricorso estensivo [alle suddette pratiche] in seguito all’introduzione della legge è stato attentamente e saggiamente mascherato”.
Lungi dal drammatizzare, Ray Tallis, geriatra in pensione e presidente del gruppo Healthcare Professionals for Assisted Dying, ha definito i dati del report “rassicuranti”. “La preoccupazione dell’impossibilità di un miglioramento e l’idea che il numero di persone che scelgono di porre fine alla propria vita in anticipo sfuggirà al controllo, non sono argomentati dal suddetto studio”, ha spiegato Tallis. Ciò che importa piuttosto, prosegue ancora il geriatra, è che “la legalizzazione rappresenta il miglior modo per garantire la sicurezza del paziente”.
Nel frattempo la decisione di Hollande di “andare oltre” l’attuale legge Leonetti sul “fine vita”, ha riacceso il dibattito sull’eutanasia anche in Francia. La riforma annunciata dal neo presidente francese sarà messa in atto nei prossimi mesi e prenderà in considerazione la situazione dei malati terminali aprendo a forme di suicidio assistito.
Secondo la normativa in vigore in Francia, i medici non sono obbligati a praticare l’accanimento terapeutico laddove le condizioni di vita del paziente siano irrimediabilmente compromesse, ma d’altro canto ai dottori non è consentito giocare un ruolo attivo nel porre fine al calvario del paziente.
Se in un primo momento Hollande ha insistito sulla necessità di sviluppare e “diversificare” le cure palliative spiegando che “se si permette a delle persone di vivere meglio, se si evitano un certo numero di ricoveri più costosi o di inutili interventi, noi avremo fatto in realtà della prevenzione”, il successore di Sarkozy ha poi proseguito dichiarandosi propenso a modificare l’attuale normativa introdotta nel 2005.
Con una domanda – “si può andare più lontano nei casi eccezionali in cui l’astensione terapeutica non basta a dare sollievo ai pazienti alle prese con un dolore irreversibile? E che chiede un atto medico consapevole al termine di una decisione condivisa e meditata?” – Hollande ha così inaugurato un dibattito in Francia che ha già prodotto inevitabili schieramenti con la destra e i cattolici arroccati sulle posizione di sempre.
Tuttavia, se da un lato Hollande ha già investito una commissione con a capo Didier Sicard, medico ed ex presidente del Comitato consultivo nazionale d’etica, il rifiuto di pronunciare la stessa parola “eutanasia” la dice lunga sulla volontà del governo di procedere con le dovute cautele.
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