In coincidenza con la conclusione del vertice G8 in Irlanda del Nord, è stato pubblicato il rapporto annuale dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR).
Il documento descrive un aumento sostanziale del numero dei rifugiati e sfollati a livello globale e individua, tra le cause prime di questa impennata, l’instabilità causata dal conflitto siriano oltre alla stessa recessione economica che spingerebbe sempre più persone alla ricerca di protezione.
Se nel 2011 il numero di questi “nomadi contro la loro volontà” arrivava a 42,5 milioni, nel 2012 se ne sono contati 45,2 milioni: di questi, 15,4 milioni sono rifugiati (una piccola percentuale per motivi politici), mentre i rimanenti sono un esercito di persone adulte, bambine o anziane che fuggono da conflitti armati.
Nell’ultimo anno è stato registrato un incremento di 23mila “unità” al giorno: era dal 1994, anno delle tragedie del Ruanda e dei Balcani, che non si registravano numeri così alti. Le statistiche indicano che il 55% dei rifugiati proviene da zone di guerra ben identificate: Afghanistan (paese che produce il più alto numero di rifugiati), Somalia, Iraq, Syria e Sudan.
Secondo il rapporto, il Pakistan è la nazione che ospita il più alto numero di rifugiati (1,6 milioni), l’Iran è la seconda nazione (868.200) e la ricca Germania la terza (589.700). Il 46% di tutti i rifugiati sono minori. Non c’è da stupirsi quindi, se il rapporto è stato reso pubblico proprio alla fine del G8, in cui si spera che i “grandi della terra”, tra le tante questioni di cui si saranno dovuti, abbiano preso in seria considerazione l’aumento pericoloso dell’umana diaspora. (L.R.)
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