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15/11/24 ore

Pena di morte, Giappone: le prime impiccagioni del governo Abe


  • Livio Rotondo

Eseguite tre condanne a morte in Giappone: lo ha comunicato il ministero della Giustizia nipponico. Queste sono le prime esecuzioni dall’insediamento del nuovo governo conservatore di Shinzo Abe del 26 dicembre scorso e anche le prime dal 27 settembre 2012, dopo un anno (il 2011) in cui la macchina della morte era rimasta inattiva.

 

Kaoru Kobayashi, 44 anni, accusato di aver violentato e ucciso una bambina di sette anni, Masahiro Kanagawa, 29 anni, colpevole dell’uccisione nel 2008 di un uomo e del ferimento di altre sette persone fuori da un centro commerciale di Tokyo, e Keiki Muto, 62 anni, che ha ucciso nel 2002 il proprietario di un bar sono stati impiccati all'alba.

 

Il ministro della Giustizia Sadakazu Tanigaki ha fatto saper in conferenza stampa di aver ordinato le esecuzioni “dopo aver attentamente esaminato la questione” perché,  ha aggiunto, “si trattava di casi estremamente crudeli, in cui le vittime sono state private per motivi molto egoistici delle loro vite”.

 

La pena di morte è molto 'popolare' in Giappone e secondo i dati ufficiali l’80% della popolazione sarebbe favorevole. Il governo nipponico di solito mantiene uno stretto riserbo sulle esecuzioni prima di averle eseguite, svelando all’opinione pubblica il numero, ma non i nomi, dei detenuti condannati.

 

Costretti a rimanere anche per decenni nel braccio della morte, i condannati alla pena capitale di solito sono informati della loro sorte poche ore prima dell’impiccagione; familiari e avvocati vengono a conoscenza della morte dei loro cari e assistiti ad esecuzione avvenuta e pertanto non è consentito loro assistere agli ultimi istanti di vita dei condannati.

 

Centotrentaquattro, a tutt’oggi, è il numero delle persone ‘ospitate’ nel braccio della morte nipponico; dopo l’esecuzione dello scorso settembre, l’Ue aveva chiesto alle autorità giapponesi di prendere in considerazione l’ipotesi di una moratoria sulla pena di morte “in attesa della sua abolizione”, ma il ministro della Giustizia Tanigaki aveva affermato in un’intervista del 19 gennaio di non voler riaprire il dibattito sulla pratica visto “il sostegno della maggioranza della popolazione”.


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