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16/11/24 ore

Uccide il marito violento, condannata a morte: la Cina si ribella


  • Livio Rotondo

Li Yan, 41 anni, residente nella provincia cinese di Sichuan, nel sud est del Paese, è stata condannata a morte nell’agosto 2011 per aver ucciso il marito Tan Yong, dopo aver subito anni di violenze e abusi e dopo ripetute denuncie fatte dalla donna alla polizia locale ai danni del coniuge.

 

La sentenza che, ora, senza un dietro front ufficiale del Governo potrebbe essere eseguita in qualunque momento proprio in questi giorni, ha scatenato l’indignazione del web e quella di numerose associazioni umanitarie, aprendo il dibattito sul problema dell’inadeguatezza della legislazione cinese in merito alle violenze domestiche ma anche del sempre più frequente utilizzo della pena capitale nel Paese.

 

Roseann Rife, responsabile Amnesty International per l’Asia Orientale “chiede alle autorità cinesi di commutare la sua condanna a morte in una pena detentiva”. La storia di Li Yan è purtroppo simile a quella di tutte quelle donne che vivono nell'incubo di continui maltrattamenti: percosse e soprusi iniziati subito dopo l’inizio del matrimonio, sigarette spente sul viso, 'punizioni' al freddo chiusa sul balcone nelle serate gelide e perfino il taglio imprecisato di un dito hanno fatto da incubatore al rancore esplosivo culminato nell’uccisione dell’uomo.

 

Li Yan aveva anche contattato le autorità locali da un letto di ospedale e la polizia aveva preso visione delle violenze senza però prendere provvedimenti reali in merito. Un giorno di novembre 2010 mentre il marito la stava picchiando per l’ennesima volta, Li lo ha colpito diverse volte alla testa, uccidendolo.

 

Una fine cruenta, ingiustificabile ma in un certo qual modo prevedibile: la donna, come sottolineato anche da Roseann Rife, avrebbe dovuto avere “precedentemente” il sostegno dell’autorità come sancito dal tribunale internazionale: “Le affermazioni di Li avrebbero dovuto essere oggetto di indagini e il marito avrebbe dovuto essere perseguito dalla giustizia prima del tragico epilogo”.

 

Intanto oltre cento tra avvocati e docenti universitari hanno sottoscritto una petizione inviata alla Suprema Corte cinese affinchè ritiri la sentenza di morte sostenendo che condannando alla pena capitale una vittima di abusi domestici si metterebbe in evidenzia il fatto che queste vittime non sono protette dalla società e dalla legge.


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