Si chiama 'laodong jiaoyang', letteralmente 'rieducazione attraverso il lavoro', la controversa pratica che secondo un tweet dell'agenzia Xinhua, controllata direttamente dal governo cinese, dovrebbe essere abolita entro il 2013.
Pechino, ha spiegato Meng Jianzhu, segretario della Commissione politica e legislativa del Partito Comunista Cinese (PCC), avrebbe dunque deciso di “interrompere l'uso del sistema della riabilitazione tramite i campi di lavoro”, introdotto nel 1957 principalmente come prigione per gli oppositori del partito e in seguito divenuto soprattutto un deterrente contro la microcriminalità legata alla prostituzione e al mondo della droga.
In realtà il cosiddetto 'laojiao' (come viene definito in forma abbreviata il sistema) è un tipo di pena considerato da molte Ong e da alcuni osservatori internazionali come una violazione dei diritti umani, essendo inflitto senza previo processo e senza coinvolgere l'autorità giudiziaria, ma semplicemente tramite il parere di una commissione amministrativa interna alla polizia.
Nei campi di lavoro, inoltre, finiscono anche i colpevoli di 'crimini contro lo Stato', i 'dissidenti' e i 'terroristi': coloro i quali, insomma, sono considerati dalle autorità governative come 'ostili'. Erroneamente accomunato fuori dai confini cinesi al laogai, una pena detentiva a tutti gli effetti che, prima della sua abolizione nel 1997, veniva inflitta da un tribunale senza precisi limiti di durata, con la conseguente sospensione dei diritti politici e l'obbligo di lavorare senza un salario, l'attuale regime di laojiao prevede invece il mantenimento dei diritti politici, un piccolo stipendio e una durata massima di tre anni.
Spesso, però, la condanna viene prolungata col pretesto di piccoli reati commessi durante la detenzione, arrivando di fatto a superare i limiti stabiliti dalla legge. Questo, unito alla mancanza di norme specifiche di controllo sull'applicazione del laojiao, ha finora comportato un arbitrario utilizzo del lavoro forzato da parte della polizia, accusata spesso di aver rinchiuso nei campi 'rieducativi' anche persone sottoposte ad indagine giudiziaria, nonostante questo sia vietato nelle “misure riguardanti la gestione del laojiao da parte degli organi di pubblica sicurezza” del 2002.
Ad oggi, secondo il Consiglio per i Diritti umani delle Nazioni Unite, sarebbero circa 190 mila i cinesi rinchiusi nei 320 campi di lavoro sparsi sul territorio, nonostante i media ufficiali smentiscano il dato, riducendo a 60.000 il numero dei detenuti. Lo scorso settembre erano state raccolte più di 7 mila firme per l'abolizione del sistema di rieducazione attraverso il lavoro e oggi, “dopo aver condotto ricerche e aver ottenuto l'approvazione da parte dell'Assemblea nazionale del popolo”, il governo di Pechino si è ufficialmente impegnato affinché questo avvenga entro la fine dell'anno. (red)
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