“La paga del sabato”, fu una delle primissime prove letterarie di Beppe Fenoglio, che l’autore definì “ … un frutto, piuttosto difettoso, anche se magari interessante, di una mia cotta neoverista che ho ormai superata”. Scritto insieme ai Ventitre giorni della città di Alba rimase inedito fino al 1969. Rappresenta per certi versi il seguito delle vicende della guerra partigiana che Fenoglio aveva mirabilmente raccontato.
Si tratta di un romanzo (anche se sarebbe più appropriato parlare di "racconto lungo") che affonda le proprie radici nel nostro dopoguerra, nella disillusione percepita da tutta quella generazione di combattenti che, riponendo nella Lotta di Liberazione le speranze di un cambiamento sostanziale del nostro Stato, aveva poi visto quelle stesse speranze tradite da una gestione del potere apparentemente democratica, da una povertà diffusa e non combattuta, dalla mancata epurazione dall’amministrazione dello Stato di coloro che avevano appoggiato il fascismo (italialibri.net).
Dal “racconto lungo” fu realizzato uno sceneggiato TV in tre puntate trasmesso dalla RAI nel 1975 che ha come principali interpreti Lino Capolicchio e Jenny Tamburi.
In occasione del cinquantennale della prematura morte dello scrittore (13 febbraio 1963) il “Centro Piero Calamandrei” di Jesi ha proposto una riduzione teatrale del “La paga del sabato” che ha riscosso un notevole successo. Di seguito proponiamo tre interventi che recensiscono, da punti di vista diversi, il riuscitissimo evento.
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Un segno concreto e incisivo nello scenario teatrale italiano
di Francesco Dorello *
Una rappresentazione teatrale degna della grandezza dell'omonimo romanzo breve cui si ispira,"La paga del sabato" e degna soprattutto dello spessore di uno dei maggiori scrittori della nostra letteratura del secondo '900 - volendo citare le precise parole espresse dal Presidente Emerito della Repubblica e Onorario del ‘Centro Calamandrei’ di Jesi, Carlo Azeglio Ciampi. Stiamo parlando di Beppe Fenoglio di cui corre il 50ennale della morte.
La performance portata in scena sabato scorso in prima nazionale al Cortesi di Sirolo, teatro
stracolmo di bel pubblico, in occasione della apertura della XIV edizione di 'Sipario Aperto-Franco Enriquez', ha mostrato nitidamente tutti gli aspetti e gli ingredienti del tema del 'reducismo' e del malessere post-bellico inerenti alle difficoltà e ai disagi di chi ha vissuto la forte e cruda esperienza della Resistenza in prima persona;soprattutto nel delicato momento della reintegrazione nella società civile, con la annessa delusione per le mancate aspettative, visto che i grandi e attesi benefici che avrebbero dovuto portare le lotte partigiane e la conseguente fine dell'occupazione straniera, in realtà non si sono concretizzati completamente.
Lo spettacolo,praticamente diviso in due sezioni, ha visto,da una parte,proprio questa vicenda umana legata all'insoddisfazione del giovane protagonista Ettore, che preferisce trovare scorciatoie di comodo,illegali,ma di probabile,lusinghiero ed effimero successo, che non l'assoggettarsi alla 'servile' routine di un lavoro regolare; dall'altra parte la storia di un amore più passionale che romantica e sentimentale con Vanda, presentato in modo diretto e realistico, concreto sin troppo, vista l'epoca di concepimento del romanzo. Siamo nel 1949.Forse solo il Moravia degli 'Indifferenti' e della 'Romana' riuscì a tratteggiare e descrivere momenti sensuali simili, precorrendo audacemente i tempi.
La decisione di trasferire sul palco un testo come "La paga del sabato" potrà sembrare un 'azzardo', come molto spesso avviene in tali frangenti, ma la genialita' registica e le indubbie capacità di chi ha partorito questo adattamento hanno saputo trasformare l'azzardo in una occasione non mancata per valorizzare quegli aspetti teatrali e, a tratti, 'cinematografici' che proprio Vittorini aveva allora evidenziato,anche se in senso critico e negativo.
Ma i tempi sono cambiati e operazioni come queste in un teatro in costante evoluzione e di continua costruzione altro non fanno che arricchire l'opera originale dandole chiavi di lettura sempre più ricche e introspettive.
Plauso quindi ad Alessandro Varrucciu, regista e interprete con Francesca e Silvia Uguzzoni, per l'intervento teatrale perfettamente riuscito. Azzeccata la scelta delle musiche di scena nonché gli 'stacchi canori', ottimi a scandire e a sgravare le porzioni sceniche, a cura dello storico e inossidabile trio Onafifetti. In sostanza e in conclusione, un'esperienza che sicuramente avrà un seguito e che lascia un segno concreto e incisivo nell'attuale scenario teatrale italiano.
* (Musicologo e studioso d'arte, Modena)
La parola come universale comunicazione
di Francesco Romano*
La Paga del Sabato è un romanzo breve che affronta il delicato problema del difficile inserimento nella vita e nella società civile dei giovani protagonisti della resistenza.
La rappresentazione teatrale, in prima nazionale dell'omonimo romanzo, a cui ho assistito in un teatro Cortesi di Sirolo molto affollato, mi aveva indotto, a caldo, a esprimere un breve e positivo commento.
A distanza di qualche settimana, dopo aver letto un articolo pubblicato su un quotidiano del Trentino a cura di Francesco Roat su Antigone, la tragedia di Sofocle rappresentata per la prima volta nel 442 a.C., mi è venuta naturale un'ulteriore riflessione sul singolare adattamento teatrale di Varrucciu.
L'ammirazione per la coraggiosa regia, la bravura dei tre interpreti, la scenografia limitata all'essenziale e la parola come universale comunicazione, mi hanno spinto a tentare, con la presunzione di spettatore non certamente avvezzo a recensioni teatrali o di altro genere, un parallelismo tra l'ideazione del regista e il teatro greco antico.
La mia interpretazione, certamente soggettiva, vede in Ettore quello che gli antichi greci chiamavano “hybris” ovvero tracotanza, alla quale però corrisponde la “nemesis” la giusta punizione divina che colpiva l'empio, reo di aver peccato soprattutto di presunzione.
Varrucciu, a differenza degli antichi, che a fini educativi si servivano di racconti mitici, ha preferito servirsi del “logos”, il discorso razionale, senza allusioni e simboli, anziché del “mythos”, la narrazione di tipo metaforico poetico.
Esprimo un plauso al regista e agli interpreti dell'opera a cui ho assistito che hanno avuto il merito di emozionarmi in una calda serata di agosto.
*( Professore del Liceo Classico di Rovereto)
Colta metafora dell’epoca moderna
di Federico Bozzo *
Proprio la poetica originale di Beppe Fenoglio diventa protagonista dello spettacolo, rubando la scena perfino ai personaggi principali, che arrivano a raccontare la loro stessa storia in terza persona. Tecniche di metateatro spingono gli attori dietro a leggii che portano nel mondo della tragedia la carica del monologo d'invettiva, pur senza rompere l'empatia o distogliere lo spettatore dall'ambientazione dell'opera. Ambientazione, questa, riprodotta fedelmente nelle atmosfere, negli atteggiamenti e nei dialoghi portati sul palco da Varrucciu. L'attenzione, quasi maniacale, alla riproduzione del testo originale del Fenoglio, inneggia all'immortalità della poetica dell'autore, che tanto è calata in un'epoca precisa e circoscritta, quanto al contempo sembra studiata come colta metafora dell'epoca moderna.
Tre soli attori, non senza mostrare una certa maestria, interpretano i cinque personaggi principali dell'opera. Ettore, giovane di poco più di vent'anni, da poco tornato dalla guerra e totalmente alieno ai costumi e ai modi di una società che sente aliena e fasulla, comunque diversa da ciò che lui è diventato.
La madre di Ettore, incapace di comprendere le motivazioni del figlio e legata ad una mentalità pratica a lui inconcepibile. Bianco, compagno di Ettore, impegnato a "perdonare a rate" i comportamenti degli ex-fascisti.
Palmo, giovane al servizio di Bianco, a cui la vita ha riservato le stesse esperienze avute da Ettore, ma la cui semplicità ed ignoranza sono allo stesso tempo croce e salvezza, da una verità che forse è meglio non comprendere.
E infine Vanda, amante di Ettore, anch'essa in contrasto con le imposizioni della società in cui vive, sebbene per motivi diversi da quelli dell'uomo che ama.
Non è il tempo che detta l'avvicendarsi degli eventi nella versione di Varrucciu de "La paga del sabato", bensì la loro natura, essendo la rappresentazione divisa in due atti che riassumono le due più importanti espressioni di disadattamento sociale di Ettore: il lavoro e l'amore.
Le due sezioni alternano le parti recitate a brevi intermezzi musicali, realizzati dallo spumeggiante trio degli Onafifetti, dove uno stile da canzone popolare narra l'impegno della lotta partigiana nel vivo dell'azione, ricordando continuamente allo spettatore ciò che altrettanto frequentemente si riaffaccia alla mente del protagonista.
Un'opera fedele all'originale ed incredibilmente attuale allo stesso tempo. Due opposti solo in apparenza, i due volti di questa rappresentazione si compenetrano perfettamente, facendosi servi del gravoso ma nobile compito di dare tributo ad un grande autore quale Beppe Fenoglio.
* (esperto di intelligenza artificiale, Genova)
Titolo: La Paga del Sabato |
Autore: Beppe Fenoglio |
Adattamento e Regia: Alessandro Varrucciu |
Con: Francesca Uguzzoni, Silvia Uguzzoni, Alessandro Varrucciu e con gli Onafifetti |
Luogo: Teatro Cortesi, Sirolo (AN) |
Data: Sabato 10 agosto 2013, ore 21.15 |
Durata: 2 atti da 40 min. circa |