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24/11/24 ore

'I giorni del buio', Gabriele Lavia dirige i suoi homeless



Dal 19 al 23 giugno al Teatro Argentina di Roma Gabriele Lavia porta in scena un folto campionario di clochard dalla varietà umana alle prese con immagini di disperazione, scene di miseria e aneliti di speranza, per raccontare la vita di strada attraverso una favola di dolore e dolcezza, 'I giorni del buio'.

 

Lo spettacolo costituisce il saggio di diploma del III anno del corso di recitazione dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico” diretta da Lorenzo Salveti, che trova sul palcoscenico capitolino una rinnovata accoglienza per continuare a sostenere la formazione di giovani professionalità e promuoverne l’occupazione.

 

Con 'I giorni del buio' il teatro incontra la strada per guardare la realtà e le facce che la portano impressa: vite e storie di uomini e donne di ogni età con un passato da riscattare e un futuro da immaginare. Ritratto di un mondo reale, popolato da reietti e respinti dalla società, su cui Gabriele Lavia accende i riflettori con il gruppo di 19 giovani attori chiamati singolarmente a raccogliere altrettante testimonianze, confessioni, storie e pezzi di esistenza vissuta, fra gli homeless di Roma.

 

Un’operazione di grande valore artistico e sociale che ha coinvolto i ragazzi dell’Accademia nella stesura del testo drammaturgico, rendendoli contemporaneamente attori e autori di un affresco corale sull’emarginazione che alza il sipario su 19 storie, 19 naufraghi ai margini della città, da vedere e da ascoltare.

 

«Avevo in mente uno spettacolo “strano”, una danza, un canto. Una specie di “ballata”. È venuto fuori I giorni del buio. Di giorno, si sa, c’è la luce; di notte c’è il buio. Qui succede il contrario. Gli homeless o i barboni (come amano chiamarsi tra loro) vivono una vita “rovesciata” e il rapporto (platonico per noi) buio-luce, con tutte le valenze simboliche non ha più senso.

 

Nella “luce” non appare più “lo svelato” (la verità) – racconta Gabriele Lavia – Ho chiesto ai giovani attori dell’Accademia d’Arte Drammatica di raccogliere le testimonianze o “confessioni” (ma forse sarebbe meglio dire le “confidenze”) di uomini e donne che vivono accanto ad altri uomini e donne “con la casa”.

 

Cosa differenzia gli uni dagli altri? La casa, appunto. Non avere la casa è il “buio” per questi uomini e donne. Vivere per la strada non ha “luce”. Le confidenze raccolte dai giovani attori sono lunghissime. I nostri barboni (vogliono essere chiamati così. Barboncino è il barbone novello. Aspirante barbone è il Barbone che ha almeno cinque anni di anzianità. Non esiste il maestro barbone. “I barboni sono tutti maestri”, ci ha confessato un nostro nuovo amico).

 

Le “confidenze” dei nostri barboni, dicevo, sono lunghissime. Ne abbiamo estratto un “frammento” per ciascuno. Non volevo nulla di “realistico”. Non volevo che i nostri giovani attori facessero la parte di barboni di una certa età o, addirittura, fossero vecchissimi. Pensavo a giovani attori che dessero il loro “respiro poetico” all’anima dei nostri nuovi amici senza nessuna “mimesi”, anzi segnandone la distanza. Il rispetto.

 

“Se non hai nessuno che ti vuole bene … smetti di esistere … e diventi un fantasma …” ci ha detto una signora barbona. E un signor barbone: “L’uomo è un animale strano”. Chissà cosa volesse dire. Ma noi abbiamo imparato qualcosa. Forse una domanda».

 

Una sequenza coreografica collettiva intreccia ciascuno dei 19 singoli monologhi in un unico grande flusso che porta tutti in scena per raccontare le difficoltà e la desolazione, ma anche l’ingegno e la loro voglia di vivere. Rinchiusi in un luogo disseminato di oggetti abbandonati e senza senso, che diventano scenografia per materializzarsi in un luogo dismesso e in deflagrazione verso il palcoscenico, gli homeless si muovono disegnando una galleria di ritratti a tinte fosche della sottoclasse e dell’autoesclusione.

 

Scorie umane che vengono raffigurate in corpi inermi dalle fattezze “zombesche” ed enfatizzate da una nudità bianca a costituire il coro di anime aggressive e invadenti in marcia spasmodica, da cui prende vita di volta in volta ogni singola storia.

 

In contrasto dialettico con il coro, si alternano le voci che raccontano momenti di vita e la scelta dell’incontro con la strada: chi per una motivazione di libertà o di ribellione; chi perché si è ritrovano vittima di un licenziamento e di una crisi che ha sradicato casa e famiglia, oppure perché ha ereditato questo stile di vita da generazioni.

 

Tra respiri, urla, lacrime e risate, ciascuna voce dichiara un’età molto distante da quella reale dei corpi dei giovani attori che portano in scena, non la rappresentazione di esistenze invecchiate, stanche e debilitate, bensì l’esposizione onirica e poetica di sentimenti, idee, tenerezze e dolori. Ovvero, la rappresentazione di un sogno che diventa una favola per conoscerli meglio e per interrogare i loro destini.

 

Cosi, incontriamo per prima Johanna (Rosy Bonfiglio) in Campo de’ Fiori, polacca a cui è rimasta solo la pioggia; poi Pina (Valentina Carli) a Porta Metronia che passa le giornate a fumare; subito dopo compare la Signora Italia (Barbara Chichiarelli) nella parrocchia di San Genesio, conosciuta da tutti, non per il nome, ma per la voce; ed ancora Karim (Giulio Maria Corso) dalla Tunisia, che ballando sulle note di Elvis Presley svanisce per lasciare spazio a Susy (Flaminia Cuzzoli), napoletana in Piazza di Spagna, che dice di sembrare molto più grande per l’età che dimostra.

 

Incrociamo Vincenzo (Valerio D’Amore) alla mensa della Caritas impegnato nella lettura de L’uomo che cammina e Ira (Arianna Di Stefano) che trascorre tutto il giorno in ginocchio a disegnare sul marciapiede del Teatro Argentina con gessetti colorati; mentre Tiziana (Desiree Domenici) in via Catania racconta di odiare i video e le interviste con i “flescis”; per Benny (Eugenio Papalia) l’amore è una cosa che “rincoglionisce”, mentre Nina (Alessandra De Luca) racconta del freddo e del mal di cuore del marito.

 

Incontriamo poi Lello (Carmine Fabbricatore) con la paura di ricominciare a drogarsi e Maria (Giulia Gallone) alla ricerca disperata della sua cagnolina; l’urlo di Caesar (Samuel Kay) che chiede alla società di ritornare ad essere utile, lascia posto al racconto di Leonardo (Matteo Mauiello) che ci spiega cosa significa stare sulla strada.

 

E mentre Giovanni (Marco Mazzanti) rivela di essersi macchiato di una colpa antica, Maurizio (Gianluca Pantosti) racconta dell’incontro con Alberto Sordi; ed ancora si presenta Dolores (Alessandra Pacifico Griffini) che dice di essere una diva, per lasciare posto alla storia di abuso e violenza di Edda (Ottavia Orticello); ed infine compare Paul (Matteo Ramundo), un inglese che tenta di recuperare l’identità smarrendo la propria lingua.


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