di Giulia Anzani
Piazza di Spagna. Tra le piazze di Roma, una delle più conosciute e visitate. La scalinata di Trinità dei Monti troneggia imponente col suo candido splendore; la Barcaccia si pone centrale rispetto al panorama, messa lì per gli assetati. Ma in questi giorni di fine maggio, dal 25 fino al 29 per l’esattezza, c’è qualcosa di nuovo nello storico punto di ritrovo: diversi stand sono posizionati sulla sinistra della scalinata, e rappresentano un punto di colore notevole che non può che saltare all’occhio
Nel salotto buono della Capitale, già di per sé un museo a cielo aperto, si sta svolgendo la 65ª edizione del Rome Art Festival, la prestigiosa rassegna d’arte contemporanea, che raccoglie svariate opere di 36 artisti tra pittori, scultori e grafici, diversi tra loro per esperienze, tecniche e stili.
L’evento è promosso dall’Associazione Art Studio Tree dalla sua Presidente, la pittrice Lucilla Labianca con cui ho il piacere di intrattenere una chiacchierata nel suo stand e che “con poche ma sentite parole, come diceva il mio professore d’italiano”, inizia a raccontarmi.
Correva l’anno 1989, quando l’Associazione Art Studio Tre si specializza nelle mostre en plein air. “Da Piazza Re di Roma a Piazza della Repubblica, a Piazza di San Giovanni… arrivando e decidendo di stanziare sopratutto nelle piazze storiche di Roma. Questa è la seconda edizione che si tiene a Piazza di Spagna”.
La presidenza di Labianca dell’Associazione, è iniziata nel 2009 e da allora “ho cercato di portare avanti la politica stabilita dal mio predecessore, basata essenzialmente sull’avere una selezione di artisti già accreditati e una promozione di artisti emergenti. Questo è un po’ lo spirito dell’Associazione: è importante che l’arte sia proposta non solo per nomi noti. Bisogna anche sostenere i giovani che si affacciano sulla pubblica piazza”… in senso letterale.
Infatti, a proposito di piazza, mi spiega che è un concetto molto importante per l’Associazione, perché si tratta di “un modo per un artista di comunicare con chi passa, che può essere la persona colta, il critico d’arte, la tv… oppure il pubblico comune, i passanti. Ci si può riscontrare e confrontare con chi ha la curiosità di capire come si elabori un quadro e come viene fuori, da una certa tecnica, l’opera d’arte”.
Nel corso della nostra chiacchierata, mi racconta anche che il nome della rassegna è cambiato dall’inizio della sua presidenza: “Prima si chiamava Mostra d’Arte Re di Roma. Ho deciso di cambiare nome per avere possibilità di spaziare con la scelta dei posti in cui esporre. L’ispirazione mi è venuta in occasione di un mio viaggio a Chicago, dove mi sono riscontrata con una manifestazione en plein air che si chiamava appunto Art Festival Chicago: questo mi ha dato lo spunto per portarlo anche nelle nostre manifestazioni”.
L’obiettivo dell’Associazione Art Studio Tre è quello di proseguire su questa strada di promulgazione e diffusione dell’arte en plein air. “Cerchiamo di essere sempre presenti in punti strategici dell’arte. A parte le numerose esposizioni in sedi differenti, come alcune Biennali di prestigio tra cui quella di Verona, l’Associazione partecipa in ambiti interni ed esterni alla Capitale. Sempre come stand siamo all’Arte Fiera di Padova, una delle più importanti fiere nazionali d’arte”.
Incuriosita dagli splendidi quadri alle sue spalle, le chiedo in cosa trovi ispirazione per la sua arte.
“Tutti i miei disegni e dipinti si rifanno al mio percorso, al mio lavoro e alla mia esperienza. Alcuni sono tradizionali, come i disegni a matita classica e matita bianca, in conformità col retaggio storico di mio padre, anche lui pittore. Nella mia produzione tradizionale, a volte decido di inserire un personaggio, altre volte mi concentro sull’aspetto paesaggistico che, tutto sommato, mi rilassa di più. L’ultima versione della mia produzione è l’arte digitale”, mi dice.
“Sono approdata a racconti mitologici che trasferisco in chiave moderna: parto da un’iconografia storica degli stucchi della Basilica Neopitagorica sotterranea di Porta Maggiore, e faccio rivivere l’antico nella nostra arte contemporanea, dando nuove chiavi di lettura alle opere”.
La mia attenzione, fin dall’inizio, è concentrata su un quadro con dei dettagli in oro, uno di quelli facenti parte della nuova versione della sua produzione, l’arte digitale per l’appunto, che appare ai miei occhi misterioso e affascinante.
L’artista allora mi illustra: “Quello in particolare è “Il ratto di Ganimede” da parte dell’aquila, cioè di Giove. È uno stucco presente nella volta della navata centrale della Basilica di cui parlavo. Da uno studio fatto, è venuto fuori - anche a livello di astronomia - che si può identificare con la costellazione dell’aquila: per questo motivo ho inserito nel dipinto, oltre alla foglia d’oro, anche degli Swarowski nei punti strategici di questa costellazione”.
Dopo i saluti con l’artista Labianca e i ringraziamenti per la sua disponibilità, passo allo stand di Antonella Iris De Pascale, un’artista “tra il reale e il surreale” che inizia a raccontarmi di sé: “Mi posso definire l’artista dell’anima e il motivo è semplice: tutte le mie opere sono caratterizzate da figure volteggianti all’interno dello spazio del quadro. Io attingo dalla realtà, attraverso delle fotografie di luoghi e di persone. Molti dei miei quadri vengono da immagini scattate in Andalusia e Marocco. Spesso io stessa sono all’interno del palcoscenico del quadro. Io vedo in un vissuto, in una scena, in un luogo, qualcosa per creare una nuova narrazione. Prendo piccoli fotogrammi e piccole scene per creare un film: il film della vita. Per me esiste il concetto di anima, che è nelle persone, nei luoghi, negli eventi. È un invisibile che viene fuori, che emerge e che io tiro fuori a modo mio”.
Notando come le cornici siano parte integrante del quadro, le chiedo di parlarmi di questa particolarità. “Le cornici le dipingo perché ho bisogno della continuazione del quadro e della storia che racconto sulla tela. Anche se la mia scelta è di fare tutti i quadri 50x70, sembra che lo spazio non basti mai…”.
Mi salta all’occhio, tra i tanti e colorati dipinti, un quadro con una camicia bianca appesa su una porta. “Quello è stato selezionato per l’evento Pace&Amore di Dubai. Il quadro significa “io m’infilo dentro di me”. Ti racconto questa storia: ero a Lecce a fare un aperitivo in un bellissimo castello. Osservo la gente e i camerieri, ma a colpirmi è questa camicia che aspettava di essere indossata da uno di loro. Io, colpita da questa camicia al vento, la fotografo e a quel punto m’immagino una donna, la donna del cameriere, che prima che lui indossi l’indumento, ci s’infila dentro. L’anima di questa donna che rimane lì dentro”.
Mi narra di Palcoscenico della follia, una delle sue opere, ricca di dettagli e di piani di lettura. Mi parla di un amore finito, rappresentato in un altro quadro pieno di simboli e riferimenti - come l’edera a indicare l’antica unione della coppia, e le piume a segnare la fine del rapporto, la libertà ritrovata -.
Mi racconta della simbologia dell’araba fenice, presente in un’opera, che risorge dalle sue ceneri in un antico parco disastrato: un contrasto incredibilmente d’impatto. E poi mi parla del vero soggetto della sua arte: le donne. “Le mie donne sono sempre strane e provenienti da altre dimensioni. Sono donne felliniane. La volontà è che vengano assorbite dal quadro, facendo parte del contesto”.
Mi fa notare che in uno dei quadri, nello specifico uno ambientato a Siviglia, in primo piano c’è il suo ventaglio: una chicca che non si nota a primo impatto, ma solo osservando più attentamente la commistione di colori, che delicatamente suggerisce di andare oltre quella che è la superficie delle sue opere. E infatti, conclude dicendo che “La particolarità dei miei quadri è che non dovresti mai finire di guardarli e di osservarli. Ci sono tanti piani di lettura e di profondità”.
Dopo aver salutato e ringraziato anche Antonella Iris De Pascale, vado a dare un’occhiata agli altri stand. Mi rendo conto di essere nel bel mezzo di una mostra unica nel suo genere e di aver potuto fruire gratuitamente di alcune delle opere più preziose del nostro tempo: quella di artisti contemporanei di grandissimo livello, il cui vissuto e la cui esperienza, si mescola in maniera armonica con lo sfondo di una Roma calda e nuvolosa, ma sempre accogliente e pronta ad aprirsi al nuovo e al bello.
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