La Biennale di Venezia è la maggiore istituzione d’arte contemporanea che abbiamo e anche la più riconosciuta all’estero.
Possiamo dire che tutte le innovazioni artistiche sono passate fra le mura dell’antico Arsenale, il luogo deputato all’esposizione proprio per gli ampi spazi che la Venezia dei Dogi disponeva per la fabbricazione delle navi, ora dismesso da lungo tempo e riutilizzato per esposizioni.
Non dovrei scrivere quest’articolo perché non mi sono recato a Venezia, ma capirete da quello che dirò che non è stato necessario.
Almeno da quello che si legge nelle riviste specializzate, posso dire che le opere esposte sono impeccabili e ben fatte, quindi salvo tutti i padiglioni in toto senza l’esclusione di nessuno; lo dico anche per non sembrare quello che in maniera subdola e strumentale usa pretesti per abbassare il livello artistico dei padiglioni.
Ottima Biennale? Manco per niente: mi dispiace dirlo, ma forse è la peggiore delle Biennali che mai siano state fatte.
Il motivo è ovvio: una manifestazione internazionale tra le più importanti al mondo non può glissare sulla devastante guerra in corso in Ucraina, perché un conflitto che rischia di coinvolgere tutti o quasi i paesi del globo non può essere ignorato specie da una manifestazione che si pone nell’ottica internazionale. Un approccio così sbagliato e assurdo che non merita giustificazione alcuna.
L’arte dalla fine dell’ottocento ai giorni nostri, ma anche prima, si distingue proprio per l’aderenza sociale e temporale che in passato non esisteva. Troviamo il popolo per le strade o nei parchi nella pittura en plein air di fine Ottocento, l’affermarsi del proletariato in Quarto stato, l’esaltazione della tecnologia della seconda rivoluzione industriale nel Futurismo ecc. ecc.
Gli artisti sono sempre stati gli anticipatori di tanti fatti storici: i libri di storia dell’arte sono pieni di questi argomenti, i musei altrettanto.
Questo processo si è andato sempre più radicalizzando, al punto che da diversi decenni abbiamo consolidato nel mondo dell’arte una notevole quantità di artisti “salva mondo” che si occupano della salute del pianeta, delle migrazioni, dei diritti delle donne ecc. ecc. un fenomeno che sta sotto gli occhi di tutti.
Non capisco perché in piena guerra la Biennale non celebra quello stato d’animo che stiamo vivendo tutti quanti. Posso capire che molti progetti erano in cantiere già da tempo, ma ciò non giustifica questo silenzio.
Ancora peggio di tutti sono gli organizzatori e gli operatori culturali, che mi sembrano troppo dentro le loro logiche affaristiche e carrieristiche.
Se questa è la Biennale, che non offre il necessario spaccato di quello che più importante avviene al mondo, vale la pena farla? Se serve a distrarci da quello che sta succedendo, vale la pena visitarla? Teniamo presente che il biglietto d’ingresso costa 25 euro a fronte di tutti i finanziamenti che la manifestazione ottiene, un prezzo poco accessibile pure agli addetti ai lavori.
Oltre tutto, molte delle opere sono realizzate con materiali di risulta o di recupero e vecchi macchinari da lungo tempo dismessi, quando il costo dei manufatti artistici è di cifre stellari, argomento che hanno affrontato varie riviste ma che tralascio per non perdermi in tanti discorsi.
Insomma una Biennale del genere che, oltre l’ingresso costa di viaggio, albergo e i pasti necessari in una città tra le più care al mondo, deve pur valere qualcosa. Padiglioni espositivi le cui opere sono talmente concettuali che nemmeno necessitano essere viste, perché vanno lette negli approfondimenti dei cataloghi, vale tutta questa spesa e tutto questo impegno?
Il carattere “immersivo” dei padiglioni che criticano la nostra società con ambientazioni sgradevoli crea paradossalmente l’idea che stiamo immersi in un contesto talmente bello e esaltante che ci voleva un artista arredatore che creasse un allestimento scenografico per farci capire che stiamo in un mondo diverso da quello che pensiamo. Scusate, ma c’è da sentirsi presi in giro; che cosa abbiamo di troppo bello e persuasivo che dobbiamo farci spiegare che non è così, qual’é la nostra illusione? Siamo ammaliati dai migranti che muoiono nel Mediterraneo? Dai nostri giovani che senza una casa e un lavoro emigrano per finalmente trovare entrambe le cose? Siamo felicemente attestati a un benessere sociale offerto dal reddito di cittadinanza? La pandemia ha fatto crescere i nostri guadagni e le nostre speranze? I battibecchi minacciosi su l’uso dell’atomica ci rendono allegri? Le continue scoperte di fosse comuni in Ucraina ci fanno troppo ridere? Gli scenari di guerra sempre più catastrofici e resi ancor più devastanti dalle armi tecnologicamente più avanzate che vengono sempre più richieste, sono il sogno di una vita migliore? Siamo così scemi?
Per la cronaca, permettetemi di fare il professorino anche se non ho niente a che vedere con il prof. Orsini: la guerra è iniziata il 24 febbraio quando, da parecchio tempo, le truppe russe erano ammassate minacciose al confine Ucraino, già pronte per un imminente attacco. Se l’apertura della Biennale è del 23 aprile, cioè oltre un mese dopo l’inizio dell’invasione, sembra strano che in tutto questo tempo una riflessione in merito alla guerra quelli della Biennale non l’abbiano fatta.
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