Banksy a visual protest è stata una mostra realizzata a Roma nel Chiostro del Bramante dall’8 settembre 2020 all’11 aprile 2021 in onore del più noto dei writers al mondo, mostra che ha fatto il giro d’Europa e oltreoceano. Banksy è il riferimento di una generazione di street artists che in maniera autonoma, investendo soldi, energie e col rischio di multe e detenzione, violano le leggi dipingendo di nascosto, prevalentemente di notte, i muri della città.
Una pratica illegale ed eversiva che ha fatto la fortuna di Banksy ma che è diventata l’esempio di una degenerazione del decoro urbano che ormai sta sotto gli occhi di tutti. Qui a Roma, ma in tutte le città è più o meno la stessa cosa, alcuni quartieri sono diventati l’emblema di questi artisti fai da te, potremmo dire le loro gallerie. San Lorenzo, il Pigneto, Ostiense, sono i quartieri romani più bersagliati, ma ormai lo stesso comune di Roma finanzia opere murarie soprattutto in quartieri periferici, dando così rilievo e importanza a una forma artistica che fino a pochi anni fa era vietata. Un’espressione che ha trovato largo consenso e a travolto le istituzioni.
Questo succede perché tutti vogliono diventare Banksy: un nome che tra l’altro è solo un nickname perché della persona l’identità è sconosciuta, si sa solo che è di Bristol nulla di più. Un fantasma che ha dipinto i muri e facciate visibili ai passanti in molte parti del mondo, eppure per vederlo al Chiostro del Bramante si doveva pagare un biglietto di 15 euro, per una mostra di quadri e quadretti che raggiungono nel mercato quotazioni vertiginose. Per avere un’idea: Banksy, Keep it spotless, 2007. Pittura spray su tela, 214 x 305 cm; stima: 250,000 $ – 350,000$; prezzo di aggiudicazione (con diritti): 1,870,000 $. Sotheby’s, New York, 14/02/2008.
E qui, contraddittoriamente, non stiamo parlando di opere murarie ma di quadri, quelli che lo street artist snobba perché il suo fare artistico è tutto rivolto al sociale (?!!). Girl with balloon, 2006, quadretto di pittura spray di 101 x 78 x 18 cm, raggiunge 1,364,668 $ al Sotheby’s, Londra, il 05/10/2018. Le quotazioni adesso saranno ancora più alte per un quadretto, scusate la ripetizione, che sembra un gift di IKEA di pochi soldi. Una sagoma nera di bambina che tiene un palloncino rosso a forma di cuore rosso su un fondo bianco fatta con gli stencil: niente di più semplice e stupido, eppure ha una quotazione tanto alta che quadri come questo sono ovviamente diventati il miraggio professionale di tanti artisti.
Non c’è l’ho con Banksy, sia chiaro, ma sulla sua trasformazione nel mercato che reputo degenere, e pertanto veniamo a una nota ancora più dolente. Questo mito ha portato all’internazionalizzazione delle favelas o delle banlieues, dove i disperati del mondo si costruiscono baracche per mancanza di alloggi e le decorano come possono, con pupazzi e animali dai colori spesso sgargianti quanto sgradevoli.
Una sorta di pressappochismo urbano all’insegna della fatiscenza che è la piaga sociale del terzo mondo e che ideologicamente ha avuto, paradossalmente, apprezzamenti da un’èlite politica alto borghese (che ad esempio a Roma abita nella vigilantissima ZTL), e che adesso che stiamo in pandemia per gli ovvi problemi d’igiene e invivibilità viene abilmente glissata dai maîtres à penser della cultura che soprattutto qui in Italia abbondano.
Parlo di quelli che già della fine degli anni ’70 inneggiavano ai graffiti della metropolitana newyorkese, come vanto di chi voleva sovvertire lo stato borghese, espressione dell’insurrezione degli afroamericani che era anche contro l’imperialismo e quant’altro. Posizione culturale che ha promosso qui da noi uno sciame di adepti graffitari che come cavallette imbrattano dappertutto, monumenti compresi: emblematici sono i mezzi dell’AMA, quelli preposti a toglierli per il decoro e il paesaggio urbano, che vediamo sfilare per Roma imbrattati di vernice dai graffitari tra l’altro in pessima maniera.
I risultati di tale aberrazione e schizofrenia culturale non tardano ad arrivare e lo scempio si presenta inesorabilmente puntuale: non ultima la deturpazione della Scala dei Turchi, opera di uno “scultore” locale. Si, anche lui ha voluto fare il suo gesto artistico. Atto sbagliato? Vandalico? Certo. Con tutto quello che si combina in giro, però, vagli a spiegare che non lo doveva fare. Se poi nemmeno gli funziona bene la testa, come ci è parso vedendolo a Striscia la notizia, che esempio gli si può offrire, cosa gli si può dire?
E qui ritorna l’ultimo scritto che feci poco prima dell’estate scorsa Piazze romane e porcate artistiche, quando suscitò sdegno la scultura di maiale esposta nel centro storico di Roma a piazza S. Giovanni delle Malva per inneggiare alla porchetta romana, una motivazione culturale veramente scadente ancorché suffragata dalle autorità capitoline.
Purtroppo quello che è o non è arte resta un mistero, o meglio: quando si parla d’arte non bisogna dimenticare che non è solo un dibattito interno tra professori, quelli paludati che sbirciano da dietro le cattedre o che si mettono in bella posa davanti a un’immancabile libreria quando in collegamento speciale partecipano ai talk televisivi, ma con tutti, soprattutto con la gente comune. Senza dimenticare che la massa ascolta, recepisce, e interpreta a modo suo, compreso imprevedibili e pericolosi balordi dai quali dovremmo difenderci.
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