Dopo Gio Ponti, una retrospettiva su Aldo Rossi, un altro grande architetto al MAXXI, esposizione che analizza lo straordinario contributo teorico e praticocon materiali provenienti da archivi e collezioni da tutto il mondo a cura di Alberto Ferlenga, interessantissima mostra che mi ha suscitato alcune riflessioni.
Indubbiamente Aldo Rossi è il più importante architetto italiano degli anni ottanta che si contendeva con Portoghesi lo scettro del post-modern: un disastro, dell’architettura italiana, a mio parere. Salvo poche eccezioni.
Il trionfo fu la spettacolare biennale d’architettura del 1980, dove vennero allestite la Strada Novissima (vedi l’articolo di Agenzia Radicale) e di Aldo Rossi il Teatro del Mondo su una piattaforma galleggiante che sovrastava la laguna.
Tra le opere di gran successo, ce ne sarebbero tante, ricorderò Casa Aurora, Torino, 1987 e Cimitero di San Cataldo a Modena che influenzeranno un altro grande architetto, il romano Franco Purini (quello della Torre Sky all’EUR di Roma, il più alto grattacielo della capitale) il quale farà suo il motivo del quadrato per varie realizzazioni, questo a dimostrazione della rilevante influenza che ebbe Aldo Rossi nell’architettura.
Quello che più ha danneggiato l’architettura è stata la concezione urbanistica di Aldo Rossi, come dimostra La città Analoga, che forse ha avuto più peso dello stesso post modern, anche se non sembra. Infatti si intrecciava con un altro fenomeno che si andava consolidando in quel periodo, quello del riuso che in pratica è stata l’affermazione dell’esistente quale che sia, con paradossi che tenterò di spiegare a brave.
La città analoga, così Rossi definisce la sua concezione urbanistica, reca proprio nella parola analoga il concetto traditore del senso che dovrebbe avere una città, cioè una non scelta che è stata quella cui poi tutte le amministrazioni (che sicuramente ignoravano la dottrina di Aldo Rossi) si sono trovate paradossalmente ossequienti e in nome del riuso hanno fatto non ammodernamenti cospicui ma piccoli rattoppi delle parti degradate, lasciando le città italiane a un triste destino che tutt’ora riscontriamo.
In più ci fu il boom delle soprintendenze che, avendo la strada spianata culturalmente dal post modern e dal successo che ebbe Jean-François Lyotard con l'opera La Condition postmoderne: rapport sur le savoir pubblicata nel 1979, dettarono legge sulla città molto più di prima con vincoli che ne bloccarono lo sviluppo, e se parliamo di città italiane - tutte antiche se non antichissime - sono immaginabili le conseguenze.
Altro concorso a questo fenomeno urbanistico fu il successo dell’archeologia industriale (teorizzata nel 1955 da Michael Rix, professore dell’Università di Birmingam, in un suo articolo pubblicato nella rivista The Amateur Historian e anche prima in alcuni circoli culturali inglesi, ma il primo atto ci fu solo nel 1973 con l’AIA, Association for Industrial Archaeology).
Si intendeva conservare le fabbriche dismesse come testimonianza culturale ma il risultato fu lo spettacolo osceno che abbiamo un po’ dappertutto nelle periferie industriali, dove lungo le strade, senza fare grandi ricerche, compaiono scheletri di mastodonti di cemento e ferro arrugginito lasciati all’incuria, anche se “tutelati” da vincoli urbanistici e, ironia della sorte, anche “paesaggistici”.
L’argomento è difficile e molto lungo da trattare e questa non è la sede adatta per contenuti specialistici ma basta vedere, almeno per i romani, le condizioni dell’ex Mattatoio, il che basta e avanza per tutte le spiegazioni del caso. Una struttura per la macellazione di carne che, nonostante gli innumerevoli progetti, (c’è pure allocata la facoltà d’architettura) e i tantissimi soldi spesi, è ancora preda della fatiscenza. Basta guardare la fine che hanno fatto le stalle dei cocchieri romani, che lì avevano la sede, ridotte ad abitazioni dei rom o dal lato opposto, lungo il fiume fra le sterpaglie, certi “alloggi” di sbandati che si sono impossessati di tutta la zona che dà al Tevere, per condividere un inevitabile disgusto.
A dimostrazione dell’errore e dell’incapacità dei fautori del riuso nostrano stanno poi i docks nella zona est di Londra che, invece di offrirli a chi voglia contemplare quello che era un tempo il più grande porto del mondo, li hanno sostituiti con le costruzioni più prestigiose e moderne, ora chiamate Docklands, diventate un fiore all’occhiello dei londinesi che si ritrovano con un’ area di lusso e di svago che i nostri giovani della movida nemmeno si sognano.
A Londra a Bankside c’è anche la Tate Gallery, che è il riuso di una centrale termoelettrica a carbone, la cui ciminiera è alta 99,6 metri su 200 m2, e non pochi altri esempi di archeologia industriale riadattata con intelligenza e tanta innovazione, ma che non hanno niente a che vedere con il senso di decadenza e di povertà che ci comunicano le strutture industriali del Testaccio.
Ma adesso veniamo alla nota dolente che è la finalità di questo scritto. All’inizio della pandemia, ad aprile del 2020, ci fu una lettera-appello dell’architetto Massimilano Fuksas al Presidente della Repubblica Mattarella: "Contro il coronavirus ripensiamo case e città", per sollecitare un adeguamento delle abitazioni a standard più compatibili per un vivere più sano, argomento già trattato in questo giornale. Richiesta che doveva essere anticipata di gran lunga dagli organi preposti, primo fra tutti quello sanitario.
Una lettera che lasciava ben sperare per l’eco che ebbe sui media la cui efficacia purtroppo si rivelò nulla, come a dimostrare che non bastano le teste pensanti, ci vuole ben altro. In un certo senso, rispetto agli argomenti che ho trattato precedentemente a proposito di Aldo Rossi, ci doveva essere una nuova visione del progettare che partisse dalle limitate concezioni del passato “salvaguardate” dalla città analoga, ma per superarle.
Insomma cosa ne facciamo di queste città dove la movida in spazi inadeguati mette a repentaglio la vita dei cittadini? Mettiamo fuori legge i giovani? Prolungheremo le sanzioni a chi esce da casa? E faremo sempre finta di niente su come sono (mal)progettate le nostre città?
Aldo Rossi L’architetto e le città
a cura di Alberto Ferlenga
dal 10 marzo 2021 - 17 ottobre 2021 al MAXXI
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