A un anno della scomparsa e a quaranta dalla sua ultima mostra allo GNAM, Robert Morris (1931 -2018) è di nuovo tra le mura della Galleria Nazionale (ex GNAM).
Ecco alcune figure umane di altezza naturale, che altro non sono che le vesti di individui incappucciati senza volto, vere sculture fatte di stoffe irrigidite dalla resina epossidica o dalla fibra di carbonio, che però ricoprono persone assenti, quelli che si vedono sono panneggi barocchi, vuoti ma abitati da fantasmi. Dodici gruppi scultorei in un unico ambiente; una visione inquietante che emana oscuri presagi…
Intorno agli ingressi della sala giacciono a terra altrettante sculture, di cui è solo il panneggio irrigidito a farci capire che sono individui sdraiati, dormienti o morenti. Uno scenario macabro, terrificante, una visione pessimistica. Che cosa aveva in mente l’artista? Strano è che gli organizzatori della mostra non ce lo dicano, e bene fa il curatore Saretto Cincinelli a sottrarsi a questo arduo compito per la spiccata personalità di Robert Morris e per il rispetto dovuto al grande artista che si è sempre rifiutato di avere etichette e spiegazioni esplicite.
È la morte che prevarica il pensiero dell’artista, è la morente società di oggi che è così rappresentata quale succube di un destino apocalittico.
Il Galata morente, famosa scultura attribuita a Epigono (230-220 a.C.) facente parte del complesso dei Galati nel Donario di Attalo a Pergamo nell’attuale Turchia (meglio conosciuta come Ara di Pergamo, visibile al Pergamonmuseum di Berlino) è uno dei riferimenti che presto saltano all’occhio del visitatore. Lo scenario, che i romani volevano soffuso di pietas per onorare i nemici perdenti, lo ritengo degnamente paragonabile a quello di Morris, per il senso di morte che lo pervade al cospetto di una catastrofe esistenziale che coinvolge l’intera umanità.
Forse sono le vicine guerre, le morti sociali dovute all’emarginazione, le migrazioni, la fame e gli enormi squilibri sociali, l’incapacità di vivere coerentemente con la natura, l’inquinamento e il cambiamento del clima, i diritti sottratti che causano sofferenza, le pandemie e i disastri fisici e culturali incombenti, i conflitti religiosi e le enormi vacuità esistenziali: tutto questo e molto altro si ravvisa nel triste scenario allestito alla Galleria Nazionale con opere realizzate quando la morte si fa vicina e che per forza di cose prevalgono su tutto. Troppo semplice da immaginare, troppo semplice da spiegare: è questo il motivo per cui non se ne parla.
Opere realizzate quando si è prossimi alla morte la morte, 2015-2017 morirà nel 2018, e che per forza di cose prevalgono su tutto. Robert Morris è stato uno tra i precursori di tutto quello che conosciamo dell’arte contemporanea, dai primi esempi di minimalismo del ’64, alla sua derivazione in process art e in anti-form che lo hanno visto tra i primi al mondo a realizzare gli archetipi di quella che noi conosciamo come Arte Povera, si veda l’astuto copia incolla di Germano Celant fatto nel settembre del 1967 per la mostra omonima che si svolse alla Galleria la Bertesca a Genova dopo quella avvenuta l’anno prima a New York (Eccentric Abstraction, Fischbach Gallery, 1966).
Sempre al di sopra del contesto artistico dal quale si distanziava, Morris era stato vicino anche a Land Art alla Conceptual Art e ad altri generi senza peraltro definirsi mai appartenente a correnti, vagando nei suoi sostanziosi scritti artistici fra Platone,Kierkegaard, Wittgenstein, Nietzsche, Freud, Marcuse, Foucault e Davidson e sconfinando in concezioni interdisciplinari come quelle praticate al Judson Dance di New York.
Insomma, tutto quello che conosciamo da quella formidabile generazione di artisti americani quali Carl Andre, Dan Flavin, Donald Judd, Sol Lewitt, Frank Stella, Robert Ryman, Agnes Martin, Barnett Newman, Robert Rauschenberg, Ad Reinhard, con performance musicali di John Cage e degli happenings e delle manifestazioni contro la guerra in Viet-nam.
Una generazione di rivoluzionari che ha insegnato al mondo l’arte e che adesso resta difficile immaginarsi dentro un involucro barocco, come quello che vediamo in Monumentum di Robert Morris alla Galleria nazionale di Roma, che per contro ne è il degno coronamento.
Robert Morris, Monumentum 2015-2018
A cura di Saretto Cincinelli
Galleria Nazionale, Roma
Dal 15-10. 2019 al 12-01. 2020
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