In questi giorni a Venezia si possono vedere le opere di uno tra gli artisti più geniali del XX secolo alla Fondazione Cini, parlo di Emilio Isgrò (Barcellona di Sicilia, 1937), artista poliedrico, romanziere, drammaturgo e regista. Grande mostra antologica di un centinaio di opere, che gode della prestigiosa cura di Germano Celant, realizzata in collaborazione con l’Archivio Emilio Isgrò, diretto da Scilla Isgrò, e col supporto di Marco Bazzini.
Definisco geniale Isgrò perché ha avuto una semplice idea, quella di sovrapporre un segno nero, come se fosse fatto con un grosso pennarello, sulle parole stampate delle pagine dei libri prescelti. Ne viene fuori una serie di tratti neri orizzontali, spesso interrotti come a coprire solo le parole e non l’interlinea, che non permettono la lettura eccetto qualche frase o solitaria parola come a dire che è l’unica sola cosa da capire di quella pagina tutta cancellata. Hai così di fronte, su grandi tele emulsionate, un messaggio estraniante che ti porta altrove, facendoti vagare con il pensiero.
Cancellazione come se fosse una riedizione di quel libro, un cambiamento di significato che avviene nella tua mente perché non c’è in quello che leggi, una “riscrittura” fatta con la cancellazione per l’appunto. Un gioco di sottrazione che paradossalmente ti dà il valore aggiunto come forse nemmeno l’opera stessa nel suo complesso riesce a darti. Una genialità che gli ha permesso di “scrivere” molti testi d’importanti autori che hanno fatto la storia della letteratura.
Mostra molto concettuale perché diventa una letteratura rivisitata e ricomposta in altri contenuti, che diventano i presupposti fondanti dell’opera dell’artista o anche le deduzioni spontanee dello spettatore. Un’interattività intellettuale che porta in un viaggio poetico attraverso la letteratura in una visione diversamente romanzata delle nostre conoscenze narrative.
In una recensione precedente, nel maggio scorso, avevo ironicamente descritto Richard Long in Fate & Luck, doveaveva scaricato alcuni sassi trovati poco prima di entrare nella galleria Lorcan O’Neil che sappiamo essere nel centro di Roma. Comuni sassi trasformati in preziose opere d’arte, mostrati come reperti della nostra naturale esistenza e a monito delle responsabilità collettive verso un pianeta che indecorosamente abitiamo.
Modus vivendi di artisti geniali che si prodigano in gesti semplici, elementari, fonti da cui scaturiscono elementi che compongono le nostre più comuni consuetudini che di solito non degniamo di attenzione. Minimalismo, arte povera, concettuale, azione gestuale, significato e segno significante: varie le tematiche, tutte racchiuse in queste essenziali opere.
Famosa la dedica di Dino Buzzati per il suo "Poema a fumetti": "A Emilio isgrò affinché mi cancelli".
Philippe Daverio usava un suo quadro come fondo delle sue apparizioni televisive in Passepartout come se fosse una bandiera o icona dell’interpretazione dell’arte che il suo programma intendeva dare.
In passato Roger Waters dei Pink Floyddette un involontario riconoscimento internazionale all’arte di Emilio Isgrò perché la copertina di un suo disco prendeva spunto proprio dalla cancellazione, sembrava una copia. Ne venne fuori una disputa legale con la Sony, casa di produzione del disco, che fu in seguito ritirata da Isgrò perché riconobbe la buona fede di Roger Waters, e i due, anzi, si riconobbero nella comune assonanza creativa che si ha per l’arte, fraternizzando e rimanendo amici.
La mostra ripercorre tutta la carriera dell’artista, dalle prime cancellature del 1964, alle poesie visuali e alle Storie rosse, dall’Enciclopedia Treccani, 1970, fino ai temi etnici dei Codici ottomani, 2010. Tra le opere più importanti: Il Cristo cancellatore, 1968, installazione composta di 38 volumi cancellati, dal Centre Pompidoudi Parigi; la Carta geografica, 1970, dal Mart di Rovereto; Lo Storico, libro cancellato del 1972, dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma; la monumentale carta geografica cancellata Weltanschauung, 2007, lunga 9 metri, del Centro Peccidi Prato.
“Il tema che affronto per questa mostra a Venezia, città dove nel 1964 nacquero le prime cancellature, non può che essere quello del linguaggio”. Dice l’artista “per questo mi è parso necessario ricorrere alla tradizione biblica filtrata dal Moby Dick, il meraviglioso romanzo di Melville. É l’opera cancellata di Melville a contenere quindi tutte le altre e chi entra alla mostra si lascerà accompagnare nel ventre della balena, ovvero il ventre del linguaggio mediatico che copre con il rumore il proprio reale e disperante silenzio”.
''Una parola cancellata sarà sempre una macchia. Ma resta pur sempre una parola".
Emilio Isgrò
Fondazione Giorgio Cini di Venezia
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