Alla Galleria Ca'd'Oro la personale di Mogol fa vivere a chi guarda i suoi quadri particolari sensazioni liriche che pochi artisti riescono a donarci. Con una mano e una mente raffinate, da vero letterato della pittura, questo artista definisce composizioni di alto livello con elaborate tecniche grafiche che permettono effetti originali quanto efficaci.
La sua bravura è tale che fa piacere sostare con lo sguardo anche su i suoi particolari come se fossero piccole opere in sé. In verità Mogol compone brani di poesie grafiche che alle volte vengono realizzate proprio con delle parole scritte. Sono segni che hanno il solo valore calligrafico eppure trasferiscono sulla tela l'intensità poetica tipica della nobile arte della scrittura.
Bisogna avere familiarità con i fondi antichi di carte d’archivio o con le raccolte manoscritte di biblioteche storiche, per capire come Mogol reimpieghi in modo da ottenere effetti pittorici e narrativi di grande impatto lirico, un processo noto come ossidazione della carta e degli inchiostri, particolarmente notevole nei materiali dei secoli XVII e XVII, che perfora le righe della scrittura tramutando le pagine scritte in capricciosi merletti.
Con una tecnica tutta propria, Mogol ha conseguito questo effetto producendo tele “scritte” in tutto bianco (“Lettera bianca”) o tutto nero per (“Lettera notturna”) indicare diversi stati d’animo e atmosfere diversamente liriche, o anche nero su bruno per suggerire un omaggio all’Oriente (“Per Damasco”).
Ricorrente l’uso di talloncini di raffinato cartone dove tenui macchie ad acquerello evocano ricordi di mari, di cieli, così come a volte sui libri antichi si trovano analoghi cartoncini applicati con ex-libris, stemmi, o figure, frammenti diversi e preziosi sottratti così dal paziente bibliofilo a una sicura perdita.
Tutto questo non è dovuto al caso e nemmeno al mero talento dell'artista: se si legge la sua biografia si capisce bene che è frutto di un lungo lavoro e anche di una precisa responsabilità di docenza. Anche l’albero genealogico ha avuto il suo peso perché Alfredo Rapetti Mogol è figlio del grande poeta e paroliere Giulio.
In fondo quello che in lui e nella sua opera si rivede è Cheope, dal suo nome di paroliere dato a numerose canzoni da lui scritte. Sottolineo questo aspetto perché l'abbinamento formale al concetto di modernità riconosciuto alla “canzonetta” d’autore, impropriamente chiamata così per distinguerla dalla canzone lirica, aprirebbe in parallelo un’ interpretazione dell'arte contemporanea che avrebbe molte cose importanti da dire, particolarmente in rapporto a
Alfredo Rapetti Mogol, ma il tema è troppo vasto per questa recensione, con la quale voglio segnalare una mostra davvero interessante, curata da Gloria Porcella con estrema raffinatezza, tanto da richiamare un pubblico qualificato anche in un pomeriggio romano di maltempo. Insomma, alle opere di Mogol potrebbe ben applicarsi la vecchia e suggestiva dicitura “Les belles lettres”…
Giovanni Lauricella
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