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22/11/24 ore

Benjie Basili Morris allo studio-museo di Luigi Ontani


  • Giovanni Lauricella

Sembra un gioco, ma Benjie Basili Morris  espone a Roma in una personale che ricorda molto ''Ander Senno Sogno'', fatta nel 2013 da Luigi Ontani al museo Hendrik Christian Andersen - tra l’altro da me recensita proprio tra le pagine di Agenzia Radicale -  con la differenza che in questo caso l’artista in questione è Benjie che ha collocato le opere fra quelle di Ontani. Il risultato è un surplus di giocosa inventiva.

 

Ma non solo: mentre Ontani si “immedesimava” o si “mimetizzava” con le statue di fine Ottocento di  Hendrik, interagendo e trasformando la scena dell’omonimo museo, Benjie pone le sue opere là dove c’è spazio per un quadro, in pratica usando lo studio-museo di Ontani, illustre anche per la vicinanza a quello di Canova, e dove risplendono di colore le sue sorprendenti sculture quasi metamorfosi concettuali, per fare la “sua” mostra. Parlerò di conseguenza solo di Benjie ignorando, ma con qualche difficoltà, il grande Ontani che generosamente ha offerto uno spazio finora a lui solo dedicato.

 

 

Le opere di Benjie le conosciamo già, in quanto è nostro affezionato amico, che ha illustrato con le immagini delle sue opere il numero di Quaderni Radicali: artista colto, incentra la sua ricerca verso un linguaggio difficile perché già ampiamente elaborato dal ‘500 in poi, ne consegue che trovare delle nuove soluzioni in merito è veramente impensabile.

 

Oltre tutto è sempre stato un genere “affetto” da mode ricorrenti, che ha visto, caso unico nella storia dell’arte, il riproporsi nel tempo da mani di artisti ammaliati dal grande Caravaggio. Nemmeno il sommo maestro dei maestri e gran puttaniere Raffaello, che morì ventenne di sifilide, è riuscito a bissarsi così tante volte nel tempo. Bisogna dire che all’inizio fu la “scoperta della luce”, nella teatralità coinvolgente che creò molti prosecutori e proseliti di tale stile; poi, oltre al recente fenomeno del “citazionismo” degli anni ’80, Caravaggio rimase sempre attuale per la sua vena di realismo teatrale e per una velata pretesa popolare e quasi ideologica che fa degli ultimi i soggetti principali delle sue opere.

 

 

Un simile concorso di contenuti sottolinea una drammaticità che ha forte ed immediata presa sul pubblico, un fascino travolgente che possiamo dire resterà eterno. Lo stesso cinema o la fotografia di Matteo Basile, per dire un nome che mi viene subito in mente, sono la riproposizione di tale concetto proprio perché esso trova un forte consenso nel pubblico e spunti che pare non si esauriscano mai.

 

 

Benjie trova la sua vena espressiva nella genuina riproposizione di scene classiche come a volerci riproporre memorie che per qualche dissonanza si rivelano stranamente moderne come alla ricerca di una vibrazionale comunicazione con i tempi d’oggi. Nelle sue tele ad olio si legge il mito che ha sempre accompagnato la fantasia intellettuale dei cultori dell’arte, quella di alto e colto profilo, posta in immaginari interni di ambienti principeschi che non si vedono ma si intuiscono, dove personaggi mitologici o aristocratici appaiono simili al modello originario, ma variati in modo inquietante, quasi si fossero distaccati dal proprio io per impersonare i modelli dello studio di Benjie.

 

 

E naturalmente tra i modelli troviamo lo stesso artista che posa per se stesso in vesti classiche. Una narrazione fantastica piena di suggestioni, che ti trascina dentro un sogno mitico e ti fa evadere dalle miserie della nostra - purtroppo asfissiante e sempre più problematica - quotidianità.

 

 

Arte solenne, velatamente malinconica, ma che ti da sollievo perché è di un mondo talmente distante dalla tua testa che lo puoi interpretare a tuo piacimento; ti rapisce in un pianeta che come un astronauta raggiungerai per esplorarne le piacevoli dinamiche, che poi ti resteranno impresse in un edificante ricordo-rifugio, di cui farai tesoro come riparo dalle controversie della vita.

 

 

Ritornando allo spazio espositivo, mi viene spontanea una provocazione al grande Ontani, che ha emblematicamente fatto di sé il soggetto della sua arte, come immagine che si ripete in maniera seriale. Mi chiedo quindi perché non ha realizzato una serie di forme del suo cuore, quel grande cuore di Ontani che si replica nei vari angoli del suo studio-museo. Perché poteva offrire il suo spazio ad un altro artista - accogliendolo con affetto e diretta presenza alla mostra - solo chi ha un grande cuore come Ontani, a cui noi tutti artisti e cultori dell’arte rivolgiamo un grazie e un doveroso saluto.

 

 


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