Nato a Parigi da un noto critico d’arte polacco e da una pittrice russa animatrice di importanti salotti culturali, Balthasar Klossowski de Rola, in arte Balthus (1908-2001), concepisce le sue composizioni attraverso un pensiero figurativo e una chiarezza logica ereditati dalla cultura artistica italiana del Realismo magico e della Metafisica, oltre che dalla Nuova Oggettività tedesca.
Una devozione verso la cultura italiana, la sua, fu suggellata nel 1961 quando divenne direttore dell’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici. Un personaggio di alto profilo culturale ed artistico, dunque, il cui arco esistenziale coincide con il Novecento, vissuto però ai margini del grande successo. Solo ora, a quindici anni dalla sua scomparsa, se ne fa un personaggio monumentale, quale egli veramente era, con una mostra monografica di circa duecento opere curata da Cécile Debray, che è anche curatrice del Musée National d'Art Moderne/Centre Pompidou di Parigi, alle Scuderie del Quirinale e a Villa Medici, restituendogli così il dovuto riconoscimento. Noto in proposito che Balthus ha avuto in Italia come critico sostenitore e divulgatore Vittorio Sgarbi.
Un fenomeno culturale particolare forse unico, in quanto influenzò e fu influenzato da molteplici discipline culturali e scientifiche, non ultima la psicoanalisi.
Con Antonin Artaud, Balthus afferma il teatro della crudeltà di cui saranno pregne le sue pitture. Diceva Artaud nel ’32: “Senza un elemento di crudeltà alla base di ogni spettacolo non esiste teatro”.
Ne scaturì una collaborazione per i tableaux vivant, pitture realizzate per “I Cenci”, dove traspariva il senso della contemplazione mescolato alla feticizzazione e perversione. Balthus era più di un libertino, e ciò si intravede nei personaggi rappresentati. Quadri che sono il riflesso della sua vita e veicolano una intrigante quanto insidiosa confessione psicanalitica cui lo spettatore non può restare indifferente.
Artista spietato, artista sublime in una veste aristocratica e impalpabile, un fantasma che tuttora dimora a Villa Medici e che rende questo storico palazzo ancora più mitico di quanto già è.
Un giusto tributo la città di Roma offre anche a Kokocinski (1948, Porto Recanati), altro grande artista sottovalutato che a palazzo Cipolla, Fondazione Roma Museo, si è rivelato in una mostra monografica vulcanica, piena di spunti pittorici scultorei e scenografici. Questo grande personaggio artistico di livello internazionale, figlio di oppositori del comunismo sovietico ma comunista a sua volta in Occidente, da lungo tempo ha fissato in Italia la sua attività, dopo il Sud America.
Anche se molto della mostra è concentrato sulla maschera di Pulcinella, tema a lui caro tanto da farne un suo emblema artistico un po’ ridondante, spazia su vari temi dove traspare la sua anima circense, il che ci ricorda un altro suo trascorso artistico.
Una quarantina di opere inedite in una continuità di rimandi: l’arena, Pulcinella, Petruska, Sogno, il Clown, Maschera interiore, temi che formano il percorso della mostra che, come scrive la curatrice Paola Goretti Kokocinski, sembrano dipinti da “sotto il tendone da circo, sempre vivo …. “.
Restando nel tema dei tardi tributi e riconoscimenti che arrivano anche in particolari situazioni passiamo ai Martedì critici di Alberto Dambruoso dove il pittore Manfredi Beninati viene presentato in una nazione che praticamente lo ignora o quasi. Infatti egli deve la sua fortuna a galleristi stranieri con i quali ha stretto proficui rapporti professionali nei suoi viaggi fuori dall’Italia.
Un personaggio artistico che ha scatenato un interessante dibattito al teatro del MACRO dove uno degli intervenuti diligentemente ha detto che gli artisti italiani che fanno successo all’estero sono quelli che propongono l’Italia peggiore, portando ad esempio La grande bellezza di Tornatore e Gomorra di Matteo Garrone che mettono in evidenza il nostro sottosviluppo. Non a caso Beninati rappresenta nelle sue opere un barocco decadente rovinato dall’incuria e da un’arretratezza che sono poi lo stereotipo della sua terra natale, la Sicilia.
Tre esempi, Balthus, Kokocinsski e Beninati, da cui emerge un sistema dell’arte anomalo, che, se volesse essere approfondito, vedrebbe allungarsi la lista degli artisti da riconsiderare in maniera considerevole.
A proposito, lo sapete che da un anno circa è morto Cesare Tacchi uno dei fondatori della Scuola di Piazza del Popolo? Quello di “sparizione di Artista” che faceva opere con il tessuto d’arredo delle poltrone ad identificarne l’insieme con il soggetto rappresentato. La poltrona, il divano, il sofà da cui scaturisce l’idea di colui che ne è seduto. Un emblema del ’68 insieme ai più fortunati Mambor, Schifano, Angeli che è morto nell’assoluto silenzio.
Balthus
ottobre 2015/31 gennaio 2016 . Roma, Villa Medici e Scuderie del Quirinale
Kokocinski
27 settembre 1 novembre 2015 Palazzo Cipolla Fondazione Museo Roma
Manfredi Beninati
Martedì critici di Alberto Dambruoso MACRO 27/10/2015
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