Questa mostra, inaugurata giovedì 7 febbraio 2013 nella piccola quanto prestigiosa Galleria Opera Unica (al 26 della caratteristica Via della Reginella, nel ghetto di Roma) ha visto la partecipazione di numerosi visitatori nonché la presenza carismatica di Achille Bonito Oliva, da lungo tempo sostenitore ed amico di Carlo Maria Causati.
Il nostro artista vive e lavora a Roma, ha opere importanti esposte in Italia e in vari paesi europei e d’oltreoceano e che fanno parte delle collezioni permanenti della Biblioteca Nazionale di Parigi, della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, della Biblioteca Nazionale dei Lincei e Corsiniana di Roma e di collezioni private, arricchite da pubblicazioni in numerose riviste internazionali.
Causati non è affatto nuovo nella scena artistica dove ha esordito come performer alla fine degli anni ’70, periodo nel quale ho avuto la fortuna di conoscerlo e di affiancarlo in alcune esibizioni. Mi piace ricordare questo fatto perché l'opera esposta è figlia di quel tempo strepitoso, quando si inventava il teatro - e soprattutto lo si realizzava - con aspirazioni rivoluzionarie, pensando che in tal modo si potesse cambiare la società.
Carlo era uno di quelli che agiscono con la testa e con il cuore di grande artista.
Non conosceva limiti alle sue realizzazioni: gli bastava solo pensarle per farle, con un talento e un temperamento a dir poco geniali, capaci di suscitare e stimolare le energie altrui, che ha conservati intatti nelle sue composizioni fotografiche, come nelle piccole pièces teatrali (forse anche sintesi di una concezione nuova e stravolgente della scena teatrale) e nei video.
In questa opera, intitolata “Monologo”, Causati ci presenta un teatro allo specchio, dove inconsapevolmente i soggetti presenti nella platea diventano gli attori di un brano teatrale eseguito con un gioco di luci: un pubblico inconsueto, quindi, che viene ritratto nel momento della rappresentazione in cui avviene l’identificazione del proprio corpo.
Così gli spettatori diventano spettacolo, mentre noi li osserviamo come spettatori della foto, con una sorta di rifrazione ottica confermata dalla direzionalità della luce. Fra le poltrone della platea si anima la scena come ideata da un regista, e questa ambientazione diventa il palco di Carlo Maria Causati. Tutto ciò che in essa avviene diventa il soggetto della sequenza rappresentata nel suo svolgimento, un canovaccio a tutto tondo dove l'inizio è anche la fine, dove sono indistinguibili i ruoli e le storie, tutti ugualmente possibili (benché illusori).
La sala, buio cantiere di fantasie, si illumina di luci e di ombre, di intrecci e di maschere disponibili e fungibili per lo spettatore, per l’attore e per il personaggio, che vivono nello spazio e nel tempo della rappresentazione.
Qui si potrebbe aprire un discorso lunghissimo sul teatro d'avanguardia, sulla tecnica della rappresentazione contemporanea, un discorso arduo che rimando agli storici del teatro. A noi basta la sintesi operata nella foto con estrema disinvoltura. Riflettere su una foto significa sentirsi coinvolti; così è stato per me di fronte a questa mostra, come pure riguardo alle performance che Carlo Maria causati mi fece conoscere e che rivelano tutta la maestria della rappresentazione fotografica.
Sembra un gioco di parole, ma l'attimo dello scatto di Carlo Maria Causati si connota di notevole portata perché produce una “opera unica”. Mi è anche venuta in mente la famosa definizione con cui Stendhal decretò la nascita del romanzo moderno, che mi sembra ben applicabile al “Monologo” di Carlo Maria Causati:
“Un romanzo è uno specchio che passa per una via maestra e ora riflette al vostro occhio l'azzurro dei cieli ora il fango dei pantani. E l'uomo che porta lo specchio nella sua gerla sarà da voi accusato di essere immorale! Lo specchio mostra il fango e voi accusate lo specchio! Accusate piuttosto la strada in cui è il pantano, e più ancora l'ispettore stradale che lascia ristagnar l'acqua e il formarsi di pozze”.
Giovanni Lauricella
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