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02/05/24 ore

Le bambine non esistono, di Ukmina Manoori e Stéphanie Lebrun. La femminilità negata


  • Giovanna D'Arbitrio

Le bambine non esistono”, di Ukmina Manoori e Stéphanie Lebrun (Ed. Pienogiorno) racconta la storia vera di una delle autrici, Ukmina, nata in Afghanistan ai tempi dei Talebani e cresciuta come una bacha posh, cioè bambina vestita da maschio. Il libro è stato scritto in collaborazione con Stéphanie Lebrun, giornalista, documentarista e cofondatrice delle agenzie di stampa Babel Press e Babel Doc, insignita dei più prestigiosi riconoscimenti, tra cui un Emmy Award.

 

Il libro viene così descritto: “Nonostante sia cresciuta sui monti afgani al confine con il Pakistan, in una zona ancora legata a tradizioni secolari, Ukmina sin da piccola va in bicicletta, gioca a pallone, si sposta da sola per le commissioni, parla da pari con gli uomini del suo villaggio. Il motivo per cui può farlo è perché Ukmina non esiste. È un fantasma. Undicesima dopo sette femmine e tre maschi morti in fasce, quando ha superato il mese di vita, suo padre ha capito che ce l’avrebbe fatta e ha sentenziato: «Tu sarai un maschio, figlia mia». È un’usanza diffusa in Afghanistan, tollerata anche dai mullah: una famiglia senza figli maschi, può crescere una bambina come fosse un bambino.

 

Per salvare l’onore, e per scongiurare la malasorte sui figli futuri. Malasorte che consiste nell’avere figlie femmine. Vengono chiamate bacha posh, “bambine vestite da maschio”, e sono tantissime. In virtù di un semplice cambio di abiti, Ukmina ha avuto tutta la libertà riservata agli uomini. E ha compreso fino in fondo quale prigionia sia nascere donna nel suo Paese. Così, al raggiungimento della pubertà, quando l’usanza impone alle bacha posh di mettere il velo, sposarsi e fare figli, Ukmina si ribella.

 

Come potrebbe, di punto in bianco, seppellirsi tra quattro mura e ricevere ordini da un marito? Sa di dover pagare con pezzi della propria anima ogni giorno di libertà, ma sa anche che ne vale la pena. Sa che solo rimanendo uomo, libero e con diritto di parola, può aiutare le donne affinché non debbano più nascondersi per esistere”.

 

Nel raccontare la sua storia, Ukmina evidenzia che a partire dall’età di 10 anni, maschi e femmine vivono separati: alle bambine viene proibito di unirmi  nei giochi ai ragazzi, costretti a denunciarle per non essere disonorati.

 

A tale età le ragazze si velano, rinunciando alla libertà: abbandonano i giochi all’aperto per richiudersi tra le mura domestiche dove imparano a cucire, si occupano dei più piccoli e aiutano la madre; a dodici anni indossano il burqa e non escono se non accompagnate da un uomo della famiglia.

 

Non conosco la mia data di nascita, sulla mia carta d’identità c’è scritto che sono nata nel 1346, secondo il calendario solare iraniano che utilizziamo noi pashtun - afferma la Manoori - È un’ipotesi, una data aleatoria, non ho nessun certificato di nascita, nessuna dichiarazione ufficiale che attesti la mia venuta al mondo. Quando ho dovuto richiedere un documento di identità, mia madre ha fatto due conti: devi essere nata intorno al 1346, mi ha detto. O al massimo un paio di anni prima o dopo. Era un giorno di primavera, di questo era sicura. Si ricordava soprattutto che, quando ero uscita dal suo ventre, lei e mio padre si chiesero se sarei sopravvissuta. Avevano già perso dieci figli.

 

Ukmina descrive la madre come una donna onesta e coraggiosa, benché costretta alla sottomissione: orfana, si era sposata a 15 anni, perché una donna senza padre e senza un fratello è una donna senza protezione. Le avevano trovato un uomo più grande di lei di quindici anni, uno dei più ricchi del villaggio.

 

Tre anni dopo il matrimonio, ebbero un figlio maschio, poi sette femmine e tre maschi, tra cui due coppie di gemelli, nessuno dei quali è sopravvissuto. Al padre piaceva rispettare i costumi locali: uno di questi consisteva nel picchiare la propria moglie. Quando i figli morivano alla nascita, qualche tempo dopo trasferiva il suo dispiacere sulle spalle di sua moglie pestandola.

 

Dalle pagine del libro emerge la condizione femminile sotto i Talebani, nonché il ritratto di Ukmina, donna forte, combattiva che si ribella contro un contesto sociale in cui, come ella stessa dice, le ragazze fanno parte del paesaggio e non esiste un nome o un’etichetta particolare per indicarle.

 

Significativa la sua decisione di diventare una donna libera: “Ho assaporato la libertà degli uomini, ho visto le ragazze della mia età scomparire dalle strade e diventare invisibili. Per me non è più possibile tornare indietro. È troppo tardi”.

 

Il libro ha avuto molto successo a livello internazionale ed è stato considerato un bestseller dopo pochi mesi dalla pubblicazione. Ukmina oggi si batte per i diritti delle donne ed ha portato la sua lotta fino all’ONU.

 

 


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