La nuova manomissione delle parole, di Gianrico Carofiglio (Ed. Feltrinelli 2021) è centrato sul tema dell’importanza della parole e soprattutto sull’uso che se ne fa, poiché dare senso alle parole significa costruire una società più civile, capace di garantire democrazia, libertà e pace, di cui in verità abbiamo tanto bisogno mentre spirano pericolosi venti di guerra in Europa.
Il libro viene così presentato. “Rosa Luxemburg diceva che chiamare le cose con il loro nome è un gesto rivoluzionario. In un’epoca come la nostra, quando la democrazia vacilla e la sfera pubblica deve contenere i canali labirintici dei social, l’uso delle parole può produrre trasformazioni drastiche della realtà. Attraverso il linguaggio si esercita il potere della manipolazione e della mistificazione. Perciò le parole devono tornare a aderire alle cose. Manomissione, certo, significa danneggiamento. Ma nel diritto romano indicava la liberazione degli schiavi.
Questo libro si misura con tale ambivalenza: del nostro linguaggio indica le deformazioni, ma anche la possibilità delle parole di ritrovare il loro significato autentico. È la condizione necessaria per un discorso pubblico che sia aperto e inclusivo.
La manomissione delle parole era apparso nella sua prima edizione undici anni fa. Era un’altra epoca e, allo stesso tempo, era l’inizio di questa epoca. Il linguaggio era quello dell’ascesa di Berlusconi, che è divenuta la premessa di nuove manomissioni. Perciò il testo è stato storicizzato e aggiornato, con le nuove torsioni della lingua prodotte dall’avanzata populista.
Sono sei i pilastri del lessico civile che questa guida anarchica e coraggiosa riscopre: vergogna, giustizia, ribellione, bellezza, scelta, popolo. A partire da queste parole chiave Gianrico Carofiglio costruisce un itinerario profondo e rivelatore attraverso i meandri della lingua e del suo uso pubblico. In un viaggio libero e rigoroso nella letteratura, nell’etica e nella politica, da Aristotele a Bob Marley, scopriamo gli strumenti per restituire alle parole il loro significato e la loro potenza originaria. Salvare le parole dalla loro manomissione, oggi, significa essere cittadini liberi. Le parole, nel loro uso pubblico e privato, sono spesso sfigurate, a volte in modo doloso, altre volte per inconsapevolezza.”.
Leggendo il libro di Carofiglio (come al solito un testo colto e ricco di citazioni), mi è venuta in mente la frase “Le parole sono importanti” pronunciata da Nanni Moretti nel film “Palombella Rossa” e poi anche il libro di L. Pregliasco “Il Crollo - Dizionario semiserio delle 101 parole che hanno fatto e disfatto la seconda repubblica”. E senza dubbio con l’avvento della “politica d’immagine”, in effetti le parole hanno ceduto il posto a slogan e immagini persuasive che più delle parole s’imprimono con forza nella memoria, in particolare di coloro che non sono stati educati a pensare con spirito critico..
Come insegnante da tempo avevo già notato l’uso sempre più limitato di alcuni termini ed uso poco appropriato di verbi e tempi ben coniugati, con conseguenziali inferiori capacità di esprimere emozioni, minor possibilità di elaborare un “pensiero complesso” caro a Edgar Morin, ora ostacolato dalla povertà del linguaggio. Più povero è il linguaggio, meno esiste il pensiero, come hanno evidenziato Georges Orwell nel libro “1984” a Ray Bradbury in Fahrenheit 451, in cui le dittature riescono a manipolare le menti riducendo il numero e il significato delle parole.
“Il numero delle parole conosciute ed usate è direttamente proporzionale al grado di sviluppo della democrazia e dell’uguaglianza delle possibilità. Poche parole poche idee, poche possibilità e poca democrazia; più sono le parole che si conoscono, più è ricca la discussione politica e, con essa, la vita democratica” (Sulla lingua del tempo presente di Gustavo Zagrebelsky).
Con tale citazione, Carofiglio ci fa riflettere sui pericoli che corrono democrazie e libertà. Basti pensare al fascismo e il nazismo che ridusse la lingua a strumento di potere con espressioni razziste e slogan, proprio come avviene ancora oggi con il cosiddetto hate language.
Simile era la lingua del Terzo Reich, come ci ricorda Victor Klemperer in La lingua del Terzo Reich. Taccuino di un filologo, lingua ricca di parole violente che alteravano la verità. E in una recente ricerca scientifica è stato dimostrato che I ragazzi più violenti sono quelli che non sanno dialogare, né comprendere le loro emozioni.
Ecco un video in cui l’autore parla del suo libro. (da Feltrinelli editore)
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