Vincitrice del Premio Pavoncella 2021 con il romanzo L’ultima ricamatrice (Ed Piemme) Elena Pigozzi, nata a Verona, è scrittrice, giornalista, dottore di ricerca in Linguistica applicata e Linguaggi della comunicazione. Ha pubblicato per Giunti il saggio La letteratura al femminile (1998), diversi libri umoristici, tra i quali Come difendersi dai Milanesi, Come difendersi dai Romani, Come difendersi dai Napoletani e per Marsilio il romanzo Uragano d’estate (Premio Penne Opera Prima 2009).
Nel risvolto anteriore di copertina si legge: “Appoggiata ai bordi del bosco, sulla via che dal paese va verso le montagne, c'è una piccola casa solitaria: è qui che vivono le ricamatrici. Ora è rimasta Eufrasia a praticare l'arte di famiglia, tesse, cuce, ricama leggendo in ogni persona che le si rivolge i desideri più inconsci. Accanto a lei come prima alla bisnonna, alla nonna e alla madre, da sempre, il telaio di ciliegio, rocchetti, stoffe, spole e spilli.
Eufrasia ha settant'anni e ha quasi smesso di lavorare, le mani curvate dall'artrite e la modernità in cui tutto è fatto in fretta le avevano fatto pensare di non servire più a nessuno. Ed è in quel momento che arriva Filomela, una ragazza giovane con il riso negli occhi oltre che sulle labbra, che le chiede di prepararle il corredo e di insegnarle a ricamare. Eccola, l'ultima occasione di fare ciò che Eufrasia più ama: rendere felice qualcuno, raccontargli la vita che verrà intrecciando trama e ordito. Le parole che ha risparmiato per tutta l'esistenza ora sgorgano come fiumi in primavera.
Racconta di una giovane vedova di guerra gentile ed esperta nel taglio e cucito, di una splendida e coraggiosa ragazza troppo bella per non attirare le malelingue di paese, di un amore delicato come il filo di lino e tanto sfortunato, e di un ricamo tessuto da generazioni, in cui ognuna di loro ha scritto un pezzo della propria esistenza, una scintilla luminosa nel buio del mondo. Elena Pigozzi in questo romanzo ci fa vivere cento anni di storia in un battito di ciglia, a volte vento leggero e luminoso, altre cupo e foriero di sventura. Tante vite si intrecciano in queste righe, tanti amori, ma soprattutto l'amore per la vita stessa e per un'arte millenaria che sono la vera eredità dell'ultima ricamatrice”.
Senz’altro un romanzo molto originale per stile e contenuti, un romanzo che coinvolge il lettore per delicatezza di emozioni e sentimenti : una scrittura poetica, accurata e gentile per una storia tutta al femminile di donne coraggiose e che si tramandano di madre in figlia l’antica arte della ricamatrice. Eufrasia, ormai settantenne, è l’ultima ricamatrice che accoglie la giovane Filomela, desiderosa di apprendere a ricamare i capi del suo corredo di sposa.
Incuriosita da Eufrasia, le chiede di raccontarle la sua storia e quella della sua famiglia, cioè quella di Esther, Clelia e Miriam, tutte tessitrici e ricamatrici che hanno amato, sofferto, ma che hanno affrontato la vita con coraggio, apprezzandone i rari momenti di gioia. Una storia che ci riporta indietro nel tempo, in un piccolo paese dove le donne sono vittime di maldicenze, pregiudizi e gelosie.
E ricamo e tessitura, mestieri antichi, diventano simboli della vita stessa: “Nella trama del romanzo- come scrive Gaia Gentile nella motivazione per l’assegnazione del Premio: l’Autrice-Ricamatrice, su un ordito di prosa tesse una tela poetica in cui al caos disgregante della vita, contrappone l’abbraccio della tela che protegge e salda i fili spezzati…”.
Tante sono le frasi degne di citazione in questo romanzo. Eccone alcune: “Perché c’è un linguaggio muto, che si ascolta con gli occhi e con la pelle. Un linguaggio che grida ma che non trova frasi per farsi suono (…) Siamo forti insieme, mi ripeteva. Ci ricuciamo le ferite, ci togliamo le offese, ci regaliamo la libertà di essere noi. Un linguaggio che grida ma che non trova frasi per farsi suono”.
Coraggio e speranza guidano le protagoniste: “Il mondo è un luogo di spine. Un posto che frana, persino dove sembra battere il sole. Ma a noi non resta che trovare lo spazio, perché ci è dato un angolo che ci appartiene e che sarà nostro. E se il male ci travolgerà, chi rimane ha il compito di andare avanti, perché niente di chi non c’è più sparisca, ma per continuare da lì, dal punto in cui l’altro è arrivato (…) E a forza di passi, arrivare alla fine e riuscire a trovare il coraggio di continuare comunque, anche se il male potrebbe tornare. Proseguire, perché il male può solo interromperti, farti deviare il percorso, ma non potrà mai fermarti. Perciò vai oltre per chi non è più al tuo fianco. Come tuo padre. Come Clelia. Avanti, avanti, perché la vita è più forte. La vita è più grande di ogni dolore. La vita è bellezza che supera il male”.
Ecco un’interessante intervista all’autrice.
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