Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

20/11/24 ore

Melodie ossessive, di Antonio Montinaro


  • Elena Lattes

Il filo conduttore è senz’altro la musica, ma dalle pagine di “Melodie ossessive” pubblicato dalla Zecchini Editore, traspare anche tanta umanità. L’autore, Antonio Montinaro, è un neurochirurgo affermato ormai in pensione che abbiamo già avuto modo di conoscere all’incirca due anni fa quando uscì “Musica e cervello”.

 

Nato in Puglia, da un padre severo e di vecchio stampo e una mamma scomparsa prematuramente a causa di una neoplasia cerebrale, studiò medicina a Padova per poi tornare nella sua terra d’origine dove è stato Direttore dell’Unità Operativa di Neurochirurgia del “V. Fazzi” di Lecce. La sua melomania lo ha portato a curare la critica musicale della Gazzetta del Mezzogiorno e a diventare vicepresidente del CDA del Conservatorio, nonché dell’Associazione “Amici della Lirica” di Lecce. 

 

In questa sua seconda opera ogni capitolo è una tappa importante della propria vita, nel quale una o più composizioni classiche vengono associate a eventi o persone incontrate che in qualche modo lo hanno segnato o colpito. Un percorso autobiografico che inizia un po’ a ruota libera, con il periodo universitario e, forse non a caso, con una breve analisi emozionale dei Lieder di Schubert: “Viaggio d’Inverno”.

 

Torna poi indietro, a parlare del trauma legato alla malattia e alla morte della mamma, del ricordo della nonna, del padre che poco dopo si risposò e del difficile rapporto che ebbe con lui e con la matrigna. L’autore descrive bene l’atmosfera vissuta durante l’infanzia e la prima gioventù negli anni ‘50 in un piccolo comune del Sud Italia dove la gente semplice e di poche pretese era fin troppo legata ad usi e costumi tradizionali e opprimenti.

 

La scoperta della musica classica, così, fu per lui una sorta di fuga e di liberazione; un LP costituiva una grande conquista, da ascoltare nell’unico negozio di dischi del paesino grazie all’amicizia con la proprietaria, o un regalo da poter ottenere soltanto una o due volte l’anno, per la Befana o il compleanno e soltanto dopo aver ottenuto il massimo dei voti a scuola. Segue poi la prima gita scolastica con i compagni del liceo, il rapporto inizialmente amicale, pochimesi più tardi, con la fidanzatina che suonava il pianoforte e di nuovo il periodo dell’università nell’agosto 1968, quando si trovava a Bratislava per uno stage formativo e fu involontario testimone dell’invasione dei carri armati sovietici. Fece appena in tempo a scappare con il papà giunto in macchina perché deciso a prelevarlo per metterlo in salvo.

 

Infine l’arrivo all’età adulta raccontata, naturalmente, in diversi capitoli, ognuno dei quali è dedicato oltre che, come gli altri, ad uno o più musicisti - di cui narra alcune vicende o alcune curiosità compositive, privilegiando sempre gli aspetti emotivi o clinici -a colleghi, pazienti e ancora compagni di università e amici. Tutti intensi e coinvolgenti, sui quali ci si potrebbe soffermare a lungo.

 

Alcuni contengono anche una denuncia del conformismo, di un certo formalismo privo di sostanza o del perbenismo; tre in particolare raccontano delle vittime del sistema mafioso locale: Nicolò Pandolfo, un medico freddato con sette colpi di pistola per non esser riuscito a salvare la figlia di un boss da una voluminosa neoplasia cerebellare, nonostante l’intervento chirurgico fosse stato “ben condotto”; Renata Fonte, 33enne assessora alla Pubblica Istruzione, Cultura, Sport e Spettacolo nel comune di Nardò, uccisa da un suo collega perché si opponeva ad un progetto di speculazione edilizia a danno del Parco Regionale di Porto Selvaggio; sei operaie morte in un rogo nell’insalubre fabbrica di tabacchi di Calimera, nel Salento a causa dell’assenza delle più elementari condizioni di sicurezza.

 

Dunque più che un’autobiografia è un mosaico composto da tante tessere la cui narrazione, come spiega bene l’autore, è scaturita dalla necessità interiore di raccontarsi in termini musicali e di analizzare i “segni indelebili dell’esistenza per carpirne i messaggi, conciliandosi con se stessi e il mondo”.

 

Un libro piacevolmente scorrevole, a tratti molto triste, ma che non suscita mai angoscia semmai tanta amarezza, dalle cui pagine si percepiscono le sue sofferenze, la sua sensibilità e le grandi capacità empatiche. La sua passione per la musica è coinvolgente poiché stimola i lettori a cercare o a riascoltare i brani da lui citati. Commoventi sono le pagine finali dedicate alla propria famiglia e a una sorta di brevissimo bilancio della propria vita.

 

 


Aggiungi commento