Da una ricerca effettuata nel Centro di Documentazione Contemporanea di Milano, Luciana Laudi ha trovato diversi documenti che ha prima catalogato e sui quali poi ci ha scritto un libro: “Ritratti d’archivio”, pubblicato dalle Edizioni Il Prato.
È un lavoro dedicato a dodici persone che hanno vissuto la seconda Guerra Mondiale che in gran parte non sono molto conosciute, ma che si sono distinte per qualcosa. La scelta del numero non è casuale: l’autrice ha voluto raccontare di dodici personaggi quante sono le tribù di Israele. Come se ognuno di loro assurgesse a simbolo di una delle tante sfaccettature, anche contraddittorie, del variegato mondo italiano (ebraico, ma non solo) in quell’epoca.
Come spiega il prof. Andrea Bienatinell’introduzione, “questo non vuole essere un libro di Storia, ma di storie che hanno vissuto ‘gli eventi storici’”. Solo brevi accenni (ma con una narrativa scorrevole e coinvolgente), simili, appunto a veloci ritratti su tela, da prendere più come un suggerimento da approfondire, utilizzando tra l’altro, magari, la bibliografia allegata.
Per dare un’idea di cosa si tratta vale forse la pena menzionare qui di seguito alcuni dei protagonisti di queste storie.
Il primo è Federico Almansi, figlio di un libraio antiquario, poeta e allievo di Umberto Saba, il quale era in contatto con il padre per motivi di lavoro. Il maestro gli dedicò una poesia inserita nella raccolta “Epigrafe”, “confessione postuma di un amore proibito” un amore espressamente contraccambiato in altri numerosi versi. Il giovane Federico, alla fine degli anni ‘40 iniziò a manifestare i sintomi della schizofrenia e il genitore, vedendolo in decadimento fisico, oltre che psichico, tentò invano di ucciderlo sparandogli un colpo di pistola che lo ferì soltanto di striscio.
Franco Cesana fu invece il partigiano più giovane ucciso dai nazisti: aveva, infatti, solo poco più di dodici anni quando scappò di casa per unirsi, insieme al fratello più grande, alla Formazione “Scarabello” della Divisione Garibaldi in azione nella zona di Modena.
A pochi giorni dal suo tredicesimo compleanno, il ragazzino fu fermato per sempre da una raffica di mitra durante un violento combattimento. Commovente la lettera indirizzata alla mamma, scritta poco prima di morire, e riportata nel volume, dalla quale si evince una correttezza linguistica, ma soprattutto una maturità fuori dal comune.
Anna Di Gioacchino era la moglie di Nathan Cassuto, capo religioso della comunità ebraica di Firenze e uno dei più importanti collaboratori del Cardinale Elia Dalla Costa nella DELASEM, l’organizzazione impegnata nel salvataggio degli ebrei dalle grinfie dei nazifascisti. Quando il rabbino fu arrestato, ella lo volle raggiungere ed insieme furono deportati ad Auschwitz.
Contrariamente al marito, riuscì a sopravvivere e raggiunse i suoi tre figli (la quarta, appena nata, morì di stenti e a causa della mancanza della mamma, durante la guerra) che nel frattempo erano andati in Israele insieme alla zia Hulda Cassuto Campagnano. Durante un attentato arabo ad un autobus diretto all’ospedale Hadassa di Gerusalemme, dove ella lavorava, perse la vita insieme ad altre settantasette persone tra medici, infermieri, pazienti, studenti della facoltà di medicina e un soldato britannico.
Molto particolare è la storia di Donato Levi Manduzio, un contadino analfabeta che fu ferito nella prima guerra mondiale. Durante la degenza in ospedale imparò a leggere e scrivere e quando tornò al suo paese, San Nicandro garganico, impossibilitato a lavorare nei campi a causa dell’invalidità, inizialmente si dedicò alla lettura guadagnandosi la fama di saggio e successivamente organizzò un gruppo di “adepti”.
Convinto che non ci fossero più ebrei sulla Terra, scoprì per puro caso l’esistenza di una comunità a Roma che contattò verso la fine degli anni ‘30 per chiedere la conversione all’ebraismo. A causa delle leggi razziali prima e della guerra poi, i rapporti con la capitale si interruppero, ma al termine del conflitto, Manduzio, insieme ad altre decine di persone compirono il passo, grazie all’aiuto dei Rabbini David Prato e Alfredo Shelomò Ravenna.
Fra il 1948 e il 1950, 70 sannicandresi si stabilirono in Israele dove vivono ancora i loro discendenti. Egli rimase in Italia e morì subito dopo, ma sua moglie, insieme ad altre tre donne, portarono avanti la sua eredità spirituale, tramandandola alle generazioni successive. A Manduzio è dedicata una piazza del paese.
Rita Rosani è ai più sconosciuta, pur essendo “l’unica donna ad aver ricevuto la Medaglia d’oro (alla memoria) al Valor Militare”. Combattente nella Resistenza partecipò a diverse battaglie, finché nell’ultima, fu prima ferita e catturata, poi uccisa a sangue freddo da un repubblichino.
Natalia Levi Ginzburg è la più famosa dei dodici, sia per l’impegno intellettuale e antifascista del marito, massacrato a Roma nel 1944, sia per la sua attività letteraria, in particolare per il suo racconto autobiografico “Lessico Famigliare”.
Tristemente noti, anche se assai meno, il fascista Ettore Ovazza, fondatore della rivista “La nostra bandiera” e barbaramente ucciso dai nazisti insieme alla sua famiglia e il collaborazionista dell’OVRA, “Pitigrilli” che riuscì a salvarsi riparando in Svizzera dopo l’8 settembre.
I restanti personaggi meriterebbero di essere ricordati in ugual misura, ma starà al lettore leggere e riflettere sulle loro storie.
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