Ad una prima lettura sembrano episodi eterogenei senza un vero e proprio filo conduttore, eppure se si affronta il testo con un occhio più attento si potranno trovare numerosi leitmotiv. Così André Wénin ci offre una prospettiva interessante dei passi biblici che riguardano la vita e le esperienze di Abramo nel suo approfondito lavoro: “Abramo e l’educazione divina”, pubblicato da EDB, le Edizioni Dehoniane.
L’autore analizza ogni evento, presentando i relativi capitoli della Genesi (primo libro del Pentateuco) come un unico racconto “a puntate”, in ognuna delle quali il Patriarca, attraverso il superamento di una prova e attraverso la rinuncia alla cupidigia, migliora nelle sue relazioni interpersonali e acquisisce maggiore consapevolezza e fiducia in sé.
Un lungo, faticoso e tortuoso percorso di crescita individuale che si rivela anche un grande insegnamento morale riassunto con il famoso “Lech lechà”, l’imperativo divino a lasciare la casa paterna per andare verso una terra ignota che si rivelerà passo dopo passo. Lech lechà, che significa letteralmente “vattene”, non rappresenta soltanto un invito a spostarsi, ad allontanarsi fisicamente, ma come insegna la letteratura ebraica di cui Wénin si fa in pratica portavoce, è un richiamo ad andare verso se stesso.
Un viaggio interiore in cui rivisiterà il suo ruolo di marito (da possessore di una donna che è disposto a svendere per salvarsi la vita, a compagna di pari livello); trasformerà il concetto di una genitorialità dominatrice, ovvero un padre-re che annulla qualunque elemento di individualità, in un concetto di paternità che si adopera per la crescita e l’indipendenza del proprio figlio; ad abbandonare anche qualunque bramosia di beni materiali (la terra, l’accesso all’acqua e altro ancora), così da permettere, solo apparentemente in maniera paradossale, che le benedizioni divine di una numerosa discendenza e di una certa prosperità si realizzino gradualmente di pari passo ai progressi del patriarca.
Un percorso, dicevamo, faticoso, in cui non mancano regressioni, ma durante il quale la Divinità non lascerà mai solo Abramo e, anzi, sarà più presente proprio quando il patriarca si troverà di fronte alle difficoltà più grandi.
Ecco allora che oltre al principale filo conduttore sottolineato dall’autore nelle sue conclusioni, ossia la relazione tra Dio e Abramo, ci sono altri elementi comuni: la rinuncia alla cupidigia più volte tratteggiata come elemento distruttivo soprattutto in altri personaggi (Lot, gli abitanti di Sodoma, ecc.), i rapporti interpersonali e la crescita progressiva della fiducia.
Per dimostrare queste tesi Wénin ricorre ai sistemi di analisi, che riguardano sia la linguistica e la morfologia, sia il porsi continuamente domande sulle motivazioni e sulle intenzioni, e a molteplici commenti ebraici. Inoltre compara e trova costantemente analogie in episodi diversi, quali per esempio: tra le vicende di Abramo e quelle di Adamo e Noè, tra i due allontanamenti di Agar (la schiava egiziana concubina, madre di Ismaele) nella relazione di Abramo con Avimelech (o come viene traslitterato dall’autore, Abimelec); tra le visite divine al patriarca e a Lot; tra come Abramo presenta Sara prima al faraone e poi allo stesso Abimelec; tra la separazione prima da Ismaele e poi da Isacco.
Per rendere ancora più chiari i paragoni, l’autore propone per ogni brano tabelle sintetiche in cui riporta le frasi più simili e contemporaneamente più significative dei passi che vuole mettere a confronto, spiegandole successivamente anche con l’aiuto di citazioni di varie fonti autorevoli.
Definire quindi questo libro un trattato di esegesi biblica è piuttosto riduttivo in quanto lo si potrebbe considerare anche un testo di psicologia relazionale o di pedagogia comportamentale nel quale riveste un ruolo fondamentale anche l’analisi linguistica, accessibile anche al comune lettore a cui offre prospettive di lettura non particolarmente diffuse.
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