Nato nel 1900 da una famiglia povera nel ghetto di Roma, Salvatore Fornari era quel che si suol dire un figlio del popolo, una persona semplice e autodidatta che seppe emergere socialmente e culturalmente.
Nei suoi primi anni di vita il suo quartiere vide una radicale trasformazione, soprattutto con la costruzione e l'inaugurazione del Tempio Maggiore, la sinagoga più grande della capitale, e la distruzione dell'edificio che ospitò le "Cinque Scole" nei tre secoli di dominazione pontificia.
Orafo e argentiere di professione, nutriva per la sua città un amore immenso - in un certo senso anche ricambiato - che espresse in forme plurime e variegate. Fin da giovanissimo raccolse testimonianze soprattutto fotografiche divenendo uno dei collezionisti romani più importanti e interessanti del ventesimo secolo.
Fu attivissimo in numerosi campi ed ebbe una vita molto intensa: attraversò il periodo più fervidodell'emancipazione e due guerre mondiali; alla fine degli anni Trenta emigrò negli Stati Uniti per sfuggire alle leggi razziali, da cui tornò negli anni Cinquanta; scrisse poesie in romanesco e in giudaico romanesco per alcune delle quali vinse alcuni premi; fu tra i promotori e i fondatori del Museo Ebraico, divenendone il primo direttore e, per la sua attività, venne nominato Cavaliere della Repubblica. Alla sua morte, il figlio donò l'intera collezione di documenti all'Archivio della Comunità ebraica romana.
A sistemare il suo lascito, valorizzando così il suo operato, ci ha pensato Silvia Haia Antonucci, responsabile dell'Archivio Storico della Comunità ebraica di Roma, che gli ha dedicato la tesi di laurea Magistrale in Storia dell'Arte, diventata poi, grazie anche all'interessamento dell'Associazione Culturale "Progetto Arkés", un libro pubblicato da Esedra editrice, prezioso per chi desidera conoscere più a fondo il passato e la geografia di quella zona.
"Un amore capitale", però, non è semplicemente un saggio o un manuale: la ricca biografia del Fornari e delle vicende familiari lo rende un libro avvincente, un dettagliato inventario dei carteggi e degli oggetti lasciati, un documento storico e archivistico importante, l'analisi approfondita della collezione delle immagini e delle mappe, un'ottima guida. Inoltre, a completamento dell'opera e del quadro, sono presenti interviste a persone diverse, colleghi, parenti e amici, che hanno avuto il privilegio di conoscere il Fornari.
La Antonucci ha saputo, dunque, egregiamente coniugare il vissuto e l'operato di una singola persona con la storia di un intero quartiere, descrivendone, con professionalità e competenza, le atmosfere che l'hanno caratterizzato lungo oltre un secolo, senza mai annoiare, ma accompagnando per mano il lettore, il quale ha così la possibilità di immergersi in quella città che, diventata capitale d'Italia da pochissimi decenni, si trovava a dover conciliare una corposa eredità e un altalenante passato con i profondi cambiamenti che stava subendo.
Un volume di meno di duecento pagine, che si potrebbe tranquillamente definire "interdisciplinare" arricchito da accenni riguardanti gli aspetti psicologico-narrativi delle persone intervistate e soprattutto da note sulla cultura ebraica, che scorre velocemente e piacevolmente, ma che si potrebbe capire fino in fondo soltanto leggendolo mentre si cammina fra le piazze e i vicoli del ghetto.
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