Fine anni '30. Una giovane studentessa della Facoltà di lingue orientali all'Università di Napoli, figlia di un fascista anticlericale di origini meridionali e di una cattolica socialista proveniente dal nord Italia, vince un concorso per l'insegnamento in una scuola elementare a Cerreto Sannita, in provincia di Benevento.
In questo paesino sperduto nella campagna conoscerà l'estrema povertà vissuta con dignità dai contadini del luogo, la loro accoglienza semplice, ma calorosa e riconoscente, trovando in essa, oltreché in se stessa, la forza per combattere le autorità fasciste locali in favore dei suoi alunni e delle loro famiglie. Ma, cosa più importante, incontrerà il suo primo vero amore.
“Tutto in una vita” è la storia della giovane Isabella Papisca, che, dopo tanti anni, ormai quasi novantenne, vuole scrivere, poco prima di morire, le sue memorie sotto forma di diario. La figlia, Giovanna Pizzitola, una volta deceduta la mamma, trova i suoi scritti e decide di raccogliere e valorizzare la testimonianza della madre facendola pubblicare dalla casa editrice “Terre Sommerse”, con la prefazione di Anna Maria Casavola, docente di materie letterarie e volontaria nel Museo dell'ex carcere nazista di Via Tasso a Roma.
Isabella Papisca, infatti, non è soltanto una bambina che, inizialmente, cresce in una famiglia agiata, e una giovane maestra alle sue prime esperienze lavorative lontana da casa, poi, ma è una delle poche testimoni di uno dei capitoli più bui e misteriosi del ventennio fascista.
Il ragazzo che conosce nella campagna campana è un giovane dottore, figlio di madre italiana cattolica e padre ebreo tedesco in fuga dalla Germania nazista che, fra mille difficoltà, è riuscito a rifugiarsi prima dallo zio parroco di Sant'Agata, comune più grosso e non lontano da Cerreto, e successivamente a riprendere l'attività professionale raggiungendo due colleghi connazionali, anch'essi in fuga dal nazismo, che nel frattempo hanno aperto uno studio medico a Roma. Alla fine del 1938, a Leggi razziali ormai approvate e in vigore, i tre vengono misteriosamente rapiti, probabilmente dall'OVRA e di loro non si saprà più nulla.
Papisca non si limita semplicemente a raccontare i fatti con i normali passione e coinvolgimento che si trovano in tutti i diari personali. Descrive, invece, i luoghi e le persone in maniera dettagliata, ma equilibrata, senza mai annoiare, così da offrire un chiaro panorama degli ambienti frequentati dall'autrice, da quello familiare e rassicurante dell'infanzia a quello più ampio e complesso della prima maturità e del lavoro.
Il lettore è quindi facilmente portato ad immergersi nell'atmosfera di quegli anni in cui, da una parte, piccoli e mediocri capetti fascisti seminavano il terrore fra la popolazione, esaltando lo spirito guerriero e feroce della dittatura e ignorando, spesso volutamente, le esigenze dei più poveri e, in cui, dall'altra, poche persone coraggiose si opponevano, almeno parzialmente, attuando piccoli atti di resistenza.
Il diario, quindi, non è soltanto una sorta di “liberazione” di ricordi ormai lontani (e pur tuttavia vividi e presenti come se fossero accaduti pochi giorni prima), come sembrerebbe interpretare la figlia dell'autrice nella premessa, ma è un prezioso tassello che va ad aggiungersi alla grande quantità di documentigià esistenti.
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