Cominciò a scrivere quell'opera inesauribile che è lo "Zibaldone di pensieri" nel 1817, a diciannove anni, e continuò a costruire questo ziggurat del suo sapere fino al 1832. Nelle prime pagine (è il frammento 85) Leopardi scrive un pensiero che non dà scampo, sembra la terrificante luce di una notte luminosa: "Io era spaventato nel trovarmi in mezzo al nulla, un nulla io medesimo. Io mi sentiva come soffocare considerando e sentendo che tutto è nulla, solido nulla".
Al verso 12 del mio testo di poesia, ho preso "anzi il natale" - cioè "prima di nascere" - dalla terza strofa di "Ultimo canto di Saffo" che Leopardi scrisse nel maggio 1822, a Recanati.
Rino Mele
E nulla io medesimo
Una grande stanza vuota, le finestre aperte
perché entrasse il vento, e col vento
la voce: tra il nulla e l’io
l’ansimo d’una belva ferita l’assale.
Leopardi
si metteva al centro di questa vuota stanza
ed era il mondo:
se ne ritraeva, camminava lungo le pareti,
e alle aperte finestre
gli appariva la luna. Sentiva la colpa
da scontare,
non risarcibile, una colpa "anzi il natale”,
e in quella nuda
stanza
immaginava che un altro se stesso
gli venisse incontro, di corsa
per fare vertigine
di sé: ma era la luna a correre
al contrario, l'irraggiungibile donna amata.
“Io ero spaventato
di trovarmi in mezzo al nulla, un nulla
io medesimo”: non sa
fuggire da quel dolore. Intatta nel suo
splendore,
la luna
è la sua compagna di giochi, l’unica
che lo insegua, a sera,
quando la stanza si riempie di tenebre.
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud", ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
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