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26/11/24 ore

POESÌ di Rino Mele. L’osceno potere



Crediamo di aver realizzato un’illuminata democrazia, ma votare i propri rappresentanti è solo la premessa di un processo ancora troppo lontano da un esito dignitoso e civile. Intanto, anestetizzati nella nostra impura coscienza, assistiamo al desolante orrore della guerra ereditata da padri impauriti, antichi oltre il tempo della storia, ancora-non-uomini, e mai superata: in molte decine di stati (Libia, Burkina Faso, Repubblica Centrafricana, Siria, Turchia, Yemen, Birmania) si combatte, si muore, si cattura il corpo del nemico e se ne fa strazio.

                    

 

 

 

 

POESÌ di Rino Mele

 

 

L’osceno potere

 

Una grande bocca con aspri denti. Le dita

delle mani

sono serpenti come quelle dei piedi. Il potere

ha un occhio

solo, infinito e lucente, la voce gonfia

di tuoni.

Il potere non vuole essere guardato,

dev’essere lui a scrutare

negli occhi il dolore, dimenticare il nome

registrato, i volti,

il corpo appena visto, e meglio lacerargli

il cuore. Il potere

è impotenza, una scienza che non sa sillabare

l’amore, una stanza

chiusa

dove, sul pavimento, scorre un esile rivo

chiaro e si fa rosa,

è il sangue bianco del prigioniero

legato

alla parete, lo strazio verticale, l’ingiuria,

il rauco

gridare in cui è trasformato il suo pianto.

 

  

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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud", ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.

 

 

 

 

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