di Giulia Anzani
È il maggio del 1946. La seconda guerra mondiale è un brutto ricordo così recente da poterne ancora toccare le conseguenze. Il malessere è tanto, ma la ripresa è dietro l’angolo, lenta ma inesorabile.
Testaccio, cuore pulsante e anima popolare di Roma, ospita le vicende di Delia (Paola Cortellesi), una donna dell’epoca come tante, che si dà da fare per aiutare la famiglia; oltre alle mille faccende domestiche, fa tanti lavori diversi: punture a domicilio, lava lenzuola per le classi sociali più alte, rammenda biancheria femminile, aggiusta ombrelli… tutto ricevendo un minor compenso di eventuali colleghi maschi.
Un’ingiustizia che lei nota diverse volte nel corso del film e, come risposta, riceve un’alzata di spalle. È così che funziona, in un mondo a misura d’uomo.
È sposata con Ivano (Valerio Mastandrea), uomo figlio del suo tempo: maschilista, patriarcale, violento e sempre “nervoso perché ha fatto due guerre”. Ha tre figli tra cui Marcella (Romana Maggiora Vergano), la primogenita, un’adolescente sprezzante nei confronti dell’atteggiamento di sua madre, che tanto le appare passivo.
È poi circondata da tutta una serie di personaggi al limite del caricaturale, come il suocero allettato Sor Ottorino (Giorgio Colangeli), che tra una battuta sessista e un consiglio maschilista al figlio, viene accudito con pazienza da Delia; vicine di casa e uomini del quartiere, fanno da cornice al racconto di un’Italia tutto sommato recente (in fondo, sono passati meno di 80 anni) che chiunque può riconoscere nei racconti edulcorati dalla nostalgia di nonne e nonni.
Un’Italia in cui il sessismo era un fenomeno così largamente e inconsapevolmente diffuso da essere trasversale in tutte le classi sociali, perfino le più agiate. Un popolo intriso di una cultura patriarcale così ben radicata che, ancora oggi, risulta difficile da rimuovere.
C’è ancora domani, debutto di Paola Cortellesi regista, è un film d’impatto ed emozionante, che immerge per tutta la sua durata in una realtà fin troppo vicina.
Nonostante il forte distacco visivo dato dall’uso del bianco e nero, chi guarda è portato ad entrare totalmente in questo mondo così diverso dal nostro - in cui la povertà è una condizione comune, usi e costumi sono ben diversi da quelli di oggi… - ma anche tristemente attuale. Il racconto dell’emancipazione femminile italiana ai suoi albori, abbraccia perfettamente il nostro tempo, in cui è ancora possibile sentirsi discriminate e vessate in quanto donne.
Personalmente ho provato molta gratitudine per il modo potente in cui la regista ha raccontato uno spaccato di storia recente, troppo spesso ignorato o dimenticato.
Il personaggio di Delia, pur nella sua semplicità, è molto più complesso di quanto appaia: emancipato in maniera genuina e sincera, forte in un contesto in cui è difficile esserlo. Una piccola rivalsa per le donne, tutte, di ogni epoca e di tutto il mondo.
“Se nasci donna fai subito parte di un movimento, stai dalla parte di chi ha subìto, non puoi ignorarlo”, ha dichiarato la Cortellesi.
E non posso che essere d’accordo: la strada dei diritti è lunga e tortuosa, ma porta lontano, e ogni diritto acquisito va difeso con le unghie e con i denti; parlare di come abbiamo conquistato i diritti di cui godiamo oggi, anche grazie a donne come Delia, è un enorme passo per non dimenticare mai dove stiamo andando ma soprattutto da dove veniamo.