Negli ultimi anni si è posto sempre di più all'ordine del giorno il problema della governance di Internet, cioè della possibilità di un sistema di regole che limiti la censura mantenendo il carattere liberale della rete. E proprio su quest'ultimo punto è basato il documentario di Stephen Maing, che uscirà questo mese in Italia, dal titolo High Tech Low Life.
Il film infatti narra delle vicende di Zhou Shuguang e Zhang Shihe due blogger ed attivisti cinesi, noti come Zola e Tiger, che da anni combattono il Great firewall, il sosfisticato sistema di censura usato dal regime di Pechino per controllare centinaia di contenuti web.
“Ho scelto Tiger e Zola” spiega Maing “perché rappresentano due diverse generazioni di blogger ed incarnano alla perfezione il tentativo di cambiare le cose in Cina”. Due diversi punti di vista che all'interno del documentario si incontrano alla Chinese Blogger Conference presso Lianzhou dove Zola spiega ad altri coetanei come usare un blog.“Se posti video sei più al sicuro” raccontano Zola e Tiger “le parole sono più pericolose: possono attribuirtele”.
Secondo le stime ufficiali ci sono in Cina circa 513 milioni di utenti con un tasso di diffusione della rete che è del 38.3 % a cui si aggiunge il fatto che crescono sempre di più i microblog per cui diventa sempre più difficile il controllo del governo. “Nonostante la censura , c'è un fermento culturale notevole“ dice infatti Maing “i confini di ciò che è proibito e ciò che è lecito non sono così definiti, c'è uno spazio in cui infilarsi”.
Uno spazio che dovrebbe essere sostenuto anche dall'occidente che non sempre sostiene i dissidenti come nel caso del giornalista Wang che è stato arrestato grazie alle informazioni fornite dal motore di ricerca Yahoo in basa al principio del “dobbiamo rispettare le leggi del paese in cui operiamo”.
Nonostante dunque la facilità di espressione fornite dalla nuova tecnologie, dire la verità e pericoloso e scomodo come dimostrano le vicissitudini vissute da Zola per poter partire verso New York ed assistere al film dopo che gli era stato rifiutato il visto per gli Stati Uniti a Taiwan.
Stefano Delle Cave