L'Italia ha il suo candidato ufficiale per gli Oscar 2013: 'Cesare deve morire'. La Commissione di selezione istituita dall'Anica e composta da Angelo Barbagallo, Nicola Borrelli Francesco Bruni, Martha Capello, Lionello Cerri, Valerio De Paolis, Piera Detassis, Fulvio Lucisano e Paolo Mereghetti, ha infatti deciso che sarà la pellicola dei fratelli Taviani, già Orso d'oro a Berlino, a rappresentare la cinematografia italiana a Hollywood.
Girato nella Sezione di Alta Sicurezza di Rebibbia, il film, messa in scena dell'opera shakesperiana che ha per protagonisti i detenuti-attori dei laboratori teatrali del carcere, ha avuto la meglio sui titoli in lizza più 'quotati', come 'Diaz' di Daniele Vicari e 'Reality' di Matteo Garrone.
“Siamo felici ed è solo l'inizio di un bel viaggio – hanno commentato i Taviani, in viaggio verso gli Usa dove sono già in concorso per il Festival di New York – c'è tanta strada da fare. I film che concorrevano erano film di autori importanti per il cinema italiano e non solo”.
Il film è un caso anomalo di mescolanza dei generi, una 'masturbazione' del set, direbbe Carmelo Bene: il teatro nel teatro, il cinema, la letteratura, il backstage, il bianco e nero, il dramma personale e reale che emerge attraverso le parole del "Giulio Cesare" di Shakespeare.
Attraverso un'identificazione tra gli attori, gli atti (anche delinquenziali) e le parole (come nel sublime discorso di Antonio che venendo a seppellire Cesare parla degli uomini d'onore), i fratelli Taviani entrano con la cinepresa nel carcere di Rebibbia e trasformano i detenuti in soggetti cinematografici con un progetto che rievoca il neorealismo di Pier Paolo Pasolini.
Gli attori, tutti con condanne che vanno da 15 anni a fine pena mai, trovano la loro libertà nelle ore dedicate alle prove, per poi scontrarsi con la realtà nel momento in cui il secondino richiude la cella alle loro spalle.“Da quando ho incontrato l’arte, questa cella è diventata una prigione” è la frase emblematica che viene ripetuta da uno dei protagonisti.
Parole sottolineate dall''uso del bianco e nero, per dare la dimensione del non-reale, come hanno detto i Taviani, per amplificare la dimensione quasi epica del racconto e rendere ancora più drammatica l'idea del carcere nella contrapposizione dentro/fuori. Il colore c'è solo due volte, quando si è davanti ad una gigantografia del mare e quandi gli attori sono sul palco, davanti al pubblico reale.
La spigolosità di alcuni volti, le linee tragiche dei muri del carcere, i cortili spogli, le grate, le sbarre invalicabili, tutto diventa in bianco e nero più gelido, più duro, più rigoroso. Forse proprio in questo sottile e impercettibile confine tra reale e immaginato sta la vera forza di un film come Cesare deve morire.