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23/11/24 ore

L’uomo che vide l’infinito, matematica tra misticismo e razionalità



In sala dal 9 giugno “L’uomo che vide l’infinito”,il film del regista e sceneggiatore di origine sudafricana Matthew Brown (tratto dall’omonima biografia di Robert Kanigel), racconta la vita di Snirivasa Ramanujan (Dav Patel), geniale matematico indiano morto di tisi a soli 33 anni.

 

Volitivo, brillante e pieno d’entusiasmo, riuscì a farsi convocare al Trinity College di Cambridge dal celebre matematico G. H. Hardy (Jeremy Irons) che diventò il suo mentore e paladino e si batté per lui in un ambiente accademico chiuso, classista e razzista, col solo aiuto del suo collega John Littlewood (Toby Jones) e di Bertrand Russell (Jeremy Northan), grande anticonformista.

 

Lo scoppio della I guerra mondiale accentuò le sofferenze del giovane Ramanujan per la lontananza dal suo paese, dalla bella moglie Janaki (Devika Bhisé) e dalla madre, la quale complicò ancor più la situazione ostacolando la corrispondenza tra i due giovani.

 

Per il disagio psicologico subito si ammalò di tisi, ma continuò produrre numeri, calcoli e teoremi mediante una specie di “mistica intuizione”, varcando nuove frontiere e giungendo a insperati vertici dei quali dovette fornire “dimostrazioni” con un ulteriore e sovrumano sforzo per convincere gli ostili e scettici matematici occidentali.

 

Fu lo scontro tra due mondi, tra due diversi modi di percepire conoscenza e sapere. Più significativo il titolo in inglese “The man who knew  the Infinity” (L’uomo che conosceva l’Infinito), come evidenzia un serrato dialogo tra Ramanujan e il razionale ateo Hardy. L’autodidatta indiano asserisce chela sua mente “conosce” la matematica per ispirazione divina, poiché per lui “un’equazione non ha senso, se non esprime un pensiero divino”.

 

Lo scontro tra due mentalità alla fine si trasformerà in incontro e dialogo, quando egli fornirà le “dimostrazioni” razionali delle sue intuizioni, richieste da Hardy che desiderava proteggerlo e fargli così ottenere il meritato riconoscimento accademico. D’altra parte anche la frase illuminante di Bertrand Russell nel film spezza una lancia in  favore del giovane matematico, quando sottolinea che ”la matematica, vista nella giusta luce, possiede non soltanto Verità ma anche Bellezza”.

 

Anche il freddo Hardy in effetti comincerà a cambiare a livello umano attraverso la comprensione delle sofferenze del giovane, diventando poi suo sincero amico. Gli obiettivi dunque saranno raggiunti, ma alla fine pagati a caro prezzo da Ramanujan che non riuscirà a sconfiggere la malattia.

 

Presentato al Festival Internazionale di Toronto in anteprima e ad altri eventi cinematografici, “L’Uomo che vide l’Infinito” è un film che potremmo definire molto “British” per descrizione di ambienti e sottile humour di alcuni dialoghi che attenua un po’ la drammaticità delle situazioni.

 

Notevoli sceneggiatura (M. Brown), fotografia (Larry Smith), musiche (Coby Brown), ottima l’interpretazione degli attori.

 

Giovanna D’Arbitrio

 

 


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