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23/11/24 ore

Cannes 2016. Gli omaggi a Karoly Makk e Zsigmond Vilmos eventi maggiori. E poi la Julieta di Almodovar



di Vincenzo Basile

 

La magia e la raffinatezza di Szerelem (Amore) non sono per niente scalfite dal tempo tracorso da quando, nel 1971 ricevette il Premio Speciale della Giuria proprio qui a Cannes. Dove Karoly Makk è tornato, accompagnato dalla moglie, per presenziarne la proiezione. Accolto da un calorosissimo applauso di benvenuto prima e da un altro di riconoscente ammirazione dopo la proiezione. AR lo ha incontrato nel suo albergo durante il breve soggiorno in Costa Azzurra.

 

Come ti fa sentire ritrovarti a Cannes dopo 45 anni dal premio speciale della giuria?

 

Quando arrivai la prima volta a Cannes, trovai un ambiente molto amichevole, internazionale; quella volta ricevetti un premio, dunque un riconoscimento. Sanciva un successo. Adesso è per una commemorazione, il ricordo, dunque è molto diverso dall’oggi, il feeling è diverso, diciamo inusuale.

 

Cosa pensi del cinema contemporaneo, come ti senti oggi nel 2016 come filmaker?

 

La comunicazione è molto cambiata nel cinema di oggi. Innanzitutto perché le persone che ci lavorano sono molto diverse. Poi perché il pubblico che oggi va al cinema, è molto più giovane; già a 12 o 14 vanno al cinema, per cui il livello qualitativo deve essere adattato, semplificato per rivolgersi a un pubblico che e’ sensibile a un livello di comunicazione più emozionale. E questo condiziona gli autori, a loro volta pressati dai produttori verso quel tipo di prodotto. È molto più difficile oggi per l’industria fare un film sull’innocenza come quelli in cui io credo.

 

 

Vedendo i tuoi film viene da chiedersi quanto il neorealismo abbia influenzato il tuo stile.

 

Si certo, moltissimo. L’Italia è stata leader del cinema internazionale e in  quell’epoca ha influenzato tutti.

 

Roma Citta Aperta, Germania Anno Zero, Due Soldi Di Speranza.

 

Forse non hanno avuto una immaginazione molto accurata ma hanno avuto un grande talento nel raccontare l’Italia. Hanno dato una fotografia di che cos’era l’Italia. Guardando un film ungherese oggi, tu non hai il feeling di cosa è l’Ungheria contemporanea.

 

Come immagini  il futuro dell’Ungheria, politicamente, culturalmente, socialmente?

 

Cos’è l’Ungheria cosa vuol dire essere ungherese, ce lo  chiediamo ancora. Il governo insiste a incoraggiare questo nazionalismo, per cui tutto, alla tv, nella pubblicità, appare come ungherese ma poi quasi niente è ungherese perché viene da fuori dei nostri confini. È poi la politica qui non si confronta realmente con i problemi del paese. La nostra speranza era che l’ Europa ci avrebbe aiutato, anche se non era poi tanto realistica come previsione. Ma con i nuovi problemi, l’immigrazione in particolare, come può far qualcosa di serio. La Merkel diceva di poter fare tutto ma qual è la soluzione? Che possiamo fare concretamente?

 

Nella stessa giornata la prima mondiale del documentario di Pierre Filmon Incontri ravvicinati con Vilmos Zsigmondun altro grandissimo cineasta unghereseColui che inventò la qualifica di Cinematogrepher per i direttori della fotografia e poi fondò a Los Angeles l'ordine Professionale e il sindacato che li unifica e protegge.

 

Ed è lo stesso protagonista a raccontare la sua vita e la sua infinita passione per  il cinema.

 

Dal 1956, quando arrivò negli USA con le immagini di Budapest invasa dei  carrarmati (da lui fortunosamente riprese) che si era lasciata alle spalle, fino alle immagini più recenti, presentate oggi a Cannes. La New Hollywood e i suoi autori di spicco devono moltissimo allo straordinario innovatore e all’umilissimo artigiano che è stato. Da Robert Altman a Michael Cimino, da Bob Rafelson ad Hal Ashby, Francis Ford Coppola,Peter Bogdanovich, William Friedkin, Martin Scorsese, Steven Spielberg, Gerge Lucas,Paul Schrader e Terence Malic. Questi ed altri hanno beneficiato della sua immensa sensibilità di direttore della fotografia che ha rinnovato generi e stili del cinema moderno, americano e non solo. Senza mai risparmiarsi, anzi rischiando di persona quando per riprendere un scena doveva affrontare le rapide del Mississipi in canoa o filmare da altezze da brivido. Il primo capo operatore a vincere l’Oscar  per la fotografia nel 1978, proprio per Incontri ravvicinati del terzo tipo di Spielberg.

 

Julieta sancisce  per Pedro Almodovar quello ciò che è stato Cafè Society per Woody AllenÈ il ritorno ai temi preferiti con l’efficace maestria e raffinatezza acquisiti grazie all’esperienza e alla maturazione artistica pluridecennali.

 

Julieta sembra aver superato un gravissimo lutto quando si ritrova ad affrontare l’improvvisa, incomprensibile dipartita dell’unica, adorata figlia. Le tinte del racconto sono le consuete del regista spagnolo, ma la mano smorza i contrasti, attutisce i contraccolpi del melodramma a vantaggio di uno scorrimento piu’ armonioso del racconto; in originale della canadese Alice Munro. Le canzoni di Chavela Vargas, di casa nella sua filmografia, fanno il resto.

 

A proposito della sua partecipazione nella Selezione Ufficale Almodovar ha dichiatato alla Stampa: “ Mi hanno proposto varie volte di presiedere la giuria del festival di Cannes ma ho sempre rifiutato perche’ detesto giudicare i film degli altri. Non voglio rischiare di avere un effetto negativo sulla carriera di qualcuno a causa di un mio giudizio negativo. Se presento i miei è solo perché sono pressato dai distributori. Ma non amo essere in competizione. E’ imbarazzante ricevere un premio quando altri film che sono altrettanto validi, non ricevono nulla. Detto ciò  sono queste le regole del gioco e le accetto pienamente”.

 

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