di Vincenzo Basile
La 34°edizione del Bergamo Film Meeting, che si è tenuta tra il 5 e il 13 marzo, ha proposto nell’arco dei nove giorni più di 140 titoli internazionali; inoltre incontri, mostre, masterclass e laboratori visivi. Nella città di Caravaggio e Donizetti, retrospettive e restauri di grandi classici hanno fatto da contrappunto ai film dei “nuovi autori” che, come di consueto, hanno trovato spazio nella Mostra Concorso e nelle sezioni dedicate ai documentari Visti da Vicino.
È stata poi la volta dell'Omaggio ad Anna Karina, e ancora, EUROPE NOW! Cinema europeo contemporaneo con le personali di Jasmila Žbanić, Petr Zelenka, Shane Meadows; Una selezione di i cortometraggi d'animazione di Vladimir Leschiov; la VIDEO-INSTALLAZIONE del lituano Deimantas Narkevičius e la RETROSPETTIVA della videoartista Keren Cytter,
In occasione del restauro digitale delle sue opere, l’evento di quest’anno dal titolo “Filmare lo spazio, recintare la storia”, è stato dedicato al regista Miklós Jancsó (1921-2014), pezzo forte della manifestazione.
In collaborazione con il Magyar Nemzeti Digitális Archívum és Filmintézet, la retrospettiva ha approfondito il ventennio che va dagli anni Sessanta agli Ottanta, privilegiando le opere realizzate in Ungheria rispetto alla pur nutrita produzione italiana; da questo corpus di lavori emerge poi la produzione di documentari, con cui il regista di Vizi privati, pubbliche virtù (1976) ha esordito dietro la macchina da presa.
Apprezzare un film di Jancso richiede lasciarsi coinvolgere nel valzer che, attraverso la sua camera, il suo sguardo danza intorno e attraverso le scene di cui si compone.
Se ci fosse un’App che potesse ridisegnare su un foglio il percorso della sua macchina da presa attorno al soggetto-oggetto della scena, potrebbe risultare estremamente avvincente ripercorrerne le armoniose, curvilinee geometrie che produce.
Monica Vitti in La pacifista
Nelle interviste ha sempre dichiarato: «I miei sono film poveri. Il mio è uno stile inventato per realizzare film con pochi soldi. Ho trovato il metodo del piano-sequenza per risparmiare sui tempi di lavorazione», Questa, la sua umile motivazione di autentico anti divo.
Ma è anche la ragione vera che ha reso la sua opera così fondamentalmente innovativa per i cineasti del suo tempo, a partire dalla sua generazione, quella della Nouvelle Vague, fino ai contemporanei, soprattutto per l’uso sempre più sofisticato ed espressivo del cosiddetto piano-sequenza, ovvero, la ripresa senza stacchi.
Quindi, per rendere al massimo l’effetto ricercato, queste riprese così lunghe da durare parecchi minuti (Scirocco si compone di undici o dodici piani sequenza in tutto), necessitavano di grandi movimenti di macchina attraverso l’uso continuo della gru e dello zoom, strumenti necessari a variare incessantemente la distanza e la prospettiva dell’inquadratura. Fu il direttore della fotografia Janos Kende il suo uomo dei miracoli, ad assecondare la circolarità delle suoi movimenti di macchina.
«Nel piano sequenza ci sono sempre due elementi dinamici: le azioni vere e proprie e i passaggi, i raccordi, che legano questi diversi nuclei drammatici». Apparentemente momenti distinti ma in realtà elementi resi interdipendenti dal genio di un regista che rimane a pieno titolo, classicamente europeo. E forse è proprio questa appartenenza, che molta intellighenzia cinematograficaoccidentale è incapace di inquadratura all’interno di un cinema continentale, non riesce a perdonargli.
Vizi private, pubbliche virtù
Quasi sempre al centro della scena c’è la rappresentazione del passato dell’uomo moderno: «Con la narrazione della Storia faccio lo stesso gioco, come con lo stile: utilizzo la storia come un materiale, come la creta nelle mani di uno scultore».
Zsuzsa Csakany, ex-moglie e montatrice di alcuni suoi film, è arrivata a Bergamo con 17 lungometraggi e 9 corti, praticamente la quasi totalità della sua filmografia. Ad accompagnarla la giornalista Judith Pinter e Gabor Gelencser, critico cinematografico e docente alla facoltà di Cinema dell’Unversità di Budapest.
Agenzia Radicale - Dato l’irriducibile idealismo che abbondantemente esprime la sua intera opera, cosa si aspettava di sollecitare o provocare Miklos nel suo pubblico?
Zsuzsa Csakany - Miklos si rivolgeva al pubblico in generale e non a quello di nicchia dei cinefili, proprio perchè si prefiggeva di rivolgersi a tutti. Ciò nonostante il suo messaggio veniva raccolto comunque da pochi. Naturalmente nel suo ruolo politico di intellettuale liberale cercava indubbiamente di influenzare culturalmente e criticamente il pubblico a cui si rivolgeva.
AR - Com’era il suo rapporto con la politica durante e dopo il socialismo?
ZC - Bisogna subito chiarire una differenza. Miklos era sicuramente un persona di sinistra ma il Comunismo era qualcosa di diverso in Italia e in Ungheria. In patria ha sempre criticato il partito dal di dentro , in quanto era contrario a quel tipo di socialismo che si era realizzato e che trovava molto diverso da quello auspicato dal popolo. Io però abitualmente preferisco non parlare di cosa lui pensasse come personaggio pubblico; credo che a queste domande dovrebbe e potrebbe rispondere solo lui.
AR - C’era qualcuno tra i registi che considerava come suo maestro ed eventualmente in cosa, in particolare?
ZC - Miklos si è nutrito ed è cresciuto nel modello cinematografico di Antonioni. Quando è arrivato in Italia ha fatto il possibile per avvicinarsi alla cerchia del regista italiano, anche attraverso la sua compagna, MonicaVitti, per conoscerlo personalmente. Ma questo è successo prima che io arrivassi nella sua vita, essendo io molto più giovane di lui.
AR - Chi reputava fossero gli eventuali continuatori del suo percorso artistico e in cosa? Tecniche di ripresa, regia?
ZC - Lui per primo non ha mai considerato concretamente di aver nessun seguace ma ci sono autori attualmente attivi, come ad esempio Bela Tarr, che si ritengono suoi allievi e lo dichiarano. Lo stesso Bertolucci ha ammesso pubblicamente, in alcuni suoi lunghi piani sequenza, di essersi ispirato alle tecniche di Miklos.
AR - Dopo tanti anni di interruzione, la ripresa a Budapest della Settimana Del Cinema Ungherese voluta da Andrei Vajna (il responsabile del fondo per il Cinema del governo ungherese ndr.) secondo lei è da considerare positivamente, come un’apertura delle Istituzioni Culturali Ungheresi al cinema autoriale?
ZC - Questa è una domanda provocatoria! Io sono sempre stata affezionata alla vecchia formula della Settimana Ungherese, che si era in passato affermata anche tra il pubblico internazionale. Non sono affatto d’accordo con questa nuova impostazione data da Vajna alla manifestazione.
Nel passato la Settimana raccoglieva i film prodotti durante l’anno precedente. Ogni anno c’erano dai 20 ai 30 film ed era di conseguenza possibile individuarne almeno un paio di alta qualità da proporre all’estero. Questa nuovo format invece raccoglie le opere prodotte negli ultimi 5 anni. Tra esse molte coproduzioni con finanziatori stranieri che facendo crescere i budget rendono impari il confronto con i prodotti nazionali. A discapito dell’autorialità complessiva.
Tutto questo trae origine e richiede una visione completamente diversa del senso della manifestazione ed è per questo che, date le limitate risorse di oggi, mentre Mundruczo e Nemes vengono largamente diffusi, per le produzioni nazionali è più difficile emergere.
Il mio è comunque un parere ininfluente, in quanto da pensionata guardo la partita da bordo campo e posso solo commentare quello che succede.
AR - C’è una domanda che negli anni nessuno le ha mai posto ma alla quale vorrebbe rispondere per dire finalmente ciò che non ha potuto finora?
ZC - Sono molte le domande che non mi sono mai state fatte ma anch’io, quando c’era ancora Miklos, non ho mai cercato di brillare, di espormi in prima persona. Sono passati solo due anni dalla sua scomparsa e la ferita per la sua perdita è ancora troppo recente e dolorosa per pronunciarmi sul merito; ci sono molte cose che devo ancora maturare su di lui e sulla nostra storia.
E’ questo il motivo per cui rilascio raramente interviste. Sono venuta a questo Festival solo perché era una buona occasione per riproporre il suo Cinema ai suoi estimatori in Italia e presentarlo a chi non lo conosce ancora, soprattutto i giovani, che hanno così sorprendentemente risposto in maniera davvero entusiastica, sbalorditi che negli anni ’70 qualcuno fosse in grado di fare quel genere di film.
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VINCITORI DELLA 34ª EDIZIONE
MOSTRA CONCORSO:
PREMIO BERGAMO FILM MEETING
Enklava/Enclave di Goran Radovanović, Serbia, Germania 2015
Due bambini kosovari, a causa del condizionamento bellico ormai stratificato in loro, rischiano di replicare la tragedia della guerra appena conclusasi.
MOSTRA CONCORSO: SECONDO PREMIO BERGAMO FILM MEETING
Domácí péče/Home Care di Slávek Horák, Repubblica Ceca, Slovacchia 2015
A causa di un improvvisa malattia un’infermiera Morava, Vlasta, deve mettere in discussione quello che ritiene la sua forza e la sua certezza principale: il suo altruismo e la dedizione al suo lavoro.
MOSTRA CONCORSO: TERZO PREMIO BERGAMO FILM MEETING
2 yötä aamuun/2 Nights Till Morning di Mikko Kuparinen, Finlandia, Lituania 2015, 85’
In un albergo di Vilnius, un’architetto francese e un musicista finlandese, pur non potendo comunicare a causa della lingua, devono confrontarsi con la fatalità del loro casuale incontro.
VISTI DA VICINO
PREMIO MIGLIOR DOCUMENTARIO:
Wir können nicht den hellen Himmel träumen/We Cannot Dream a Bright Blue Sky di Carmen Tartarotti, Germania 2014.
Le due suore di un convento ormai quasi deserto, tentano ostinatamente di far sopravvivere la loro missione.