"Suite Francese" di Saul Dibb, è tratto dal romanzo incompiuto di Irene Nemirovsky, pubblicato postumo nel 2004 dalla figlia, Denise Epstein, e divenuto poi un best-seller.
La storia comincia in Francia durante l’occupazione tedesca nella cittadina di Bussy, dove Lucile Angellier (Michelle Williams) vive con la dura e dispotica suocera (Christin Scott Thomas) aspettando notizie del marito (sposato senza amore), prigioniero di guerra. Le due donne sono costrette ad ospitare un ufficiale tedesco, Bruno Von Falk (Matthias Schoenaerts), un uomo cortese, educato, non amante di guerre e violenze.
All’inizio Lucille cerca di ignorarne la presenza con un comportamento freddo e distaccato, ma poi viene attratta da una delicata melodia che l’ufficiale-compositore suona spesso di sera al pianoforte (musica di Rael Jones): un profondo contrasto con tutti gli orrori e le prepotenze degli invasori. Tra i due nasce una forte simpatia che ben presto si trasforma in amore.
Dialoghi pieni di tensione (sceneggiatura di S. Dibb e M. Charman), scene drammatiche sempre presenti in tutti i film sulla II guerra mondiale: vigliaccherie, delazioni, violenze e rappresaglie, ma anche atti di coraggio e di ritrovata dignità nell’opporsi ai tedeschi. La guerra travolge tutti e spazza via tracotanza e privilegi e così ricchi e poveri alla fine si aiutano nel combattere un comune nemico.
Colpi di scena che sorprendono lo spettatore fino alla fine, belle inquadrature che danno risalto ai sentimenti senza tuttavia cadere nel melo: l’amore durante un sanguinoso conflitto non può donare la felicità, ma rappresenta forse l’ultimo rifugio in cui ritrovare bellezza e umanità.
Mentre scorrono i titoli di coda, dalle didascalie finali si apprende che l’autrice del libro, essendo ebrea fu arrestata e morì di tifo ad Auschwitz nel 1942.
In un’intervista il regista ha dichiarato che all’epoca della prima stesura della sceneggiatura, ha conosciuto la figlia di Irene, Denise, prima che morisse: un incontro commovente, poiché per lei fare un film su sua madre significava in qualche modo riportarla in vita.
Giovanna D’Arbitrio