Dopo una stanca fase intermedia gli eventi di spicco del festival si presentano a ridosso del gran sorprendente finale. Di passaggio con l‘incompiuto, per ora, The New York books review, Martin Scorsese lascia intravedere al pubblico il documentario che in occasione dell’anniversario della celebre rivista letteraria americana, rivela materiale inedito di autori come Noam Chomsky e Susan Sontag.
La prima mondiale di Cathedrals of Culture (Wim Wenders, Michael Glawogger, Michael Madsen, Robert Redford, Margreth Olin, Karim Aïnouz). Protagoniste assolute di questi documentari sei grandi opere adibite a templi dello spirito umano, scientifico e umanistico.
Altrettanti affermati registi (Wim Wenders, Michael Glawogger, Michael Madsen, Robert Redford, Margreth Olin, Karim Aïnouz) danno loro voce ma è il genius loci a esprimersi. A rivelare come dal suo punto di vista gli umani siano lo specchio della immensa grandezza/pochezza della propria specie.
Dalla Filarmonica di Berlino, icona di modernità, alla libreria Nazionale Russa, il regno del pensiero, dalla Prigione di Halden, il carcere più umano al mondo, all’Istituto Salk, il monastero per gli scienziati di tutto il mondo, dall’Opera House di Oslo, futuristica simbiosi di arte e vita al Centro Pompidou, la più moderna macchina culturale.
Ciascuna di queste Cattedrali esplora e riflette la nostra cultura proteggendone la memoria collettiva. Tutto dimostrato attraverso le splendide riprese saggiamente realizzate in 3D.
Una delle caratteristiche che contribuiscono a connotarne l’identità è questa ricettività della Berlinale verso il cinema che approfondisce le tematiche sessuali ed erotiche. Siano esse di sfondo o in primo piano.
Sparpagliate anche quest’anno tra le sezioni più di nicchia si rinvengono opere di ragguardevole interesse scientifico, oltrechè artistico.
VULVA 3.0, delle tedesche Claudia Richarz e Ulrike Zimmermann, ci racconta in 79 minuti di un nuovo tipo di mutilazione femminile: quella estetica.
In realtà si tratta di un’automutilazione a richiesta che richiede invece che i primitivi arnesi africani, le raffinate, moderne tecnologie chirurgiche e l’opera dei valenti professionisti del settore. Al servizio delle donne che credono le proprie piccole labbra e non di rado anche le grandi, poco estetiche o perchè troppo sporgenti o perche’ troppo …bah, comunque da rimodellare.
Ma non in quanto anatomicamente patologiche. Semplicemente perchè diverse dal modello proposto dalle immagini pubblicitarie, dalla moda o dalla cinematografia pornografica: insomma vogliono la vagina perfetta e…simmetrica!
Il fenomeno è già diffuso più di quanto si possa immaginare. La seconda parte del documentario e’ all’opposto dedicata all’attivismo delle donne africane emigrate oltremare, contro l’amputazione di parti più o meno estese dei genitali femminili. Questa volta a scopo di contenimento di una temuta o presunta eccessiva esuberanza sessuale. A ogni appartenenza la sua cultura.
FUCKING DIFFERENT XXY (Ger.2014): Sin dal 2005 Kristian Petersen ha portato avanti il progetto di affidare a dei filmaker gay di produrre opere sul mondo Lesbo e viceversa in varie città. Lo scopo era di superare la binarietà degli stereotipi di genere ancora esistenti all’interno del mondo queer.
Il processo si è poi autonomamente evoluto e la tappa più recente è proprio questo documento, una compilation di quindici cortometraggi realizzati da altrettanti registi transgender di tutti i continenti, sugli aspetti della sessualità ad essi estranei.
Ne risulta un grappolo di cortometraggi a firma tra gli altri dei filmaker porno Buck Angel e Mor Vital e degli approcci sperimentali di J. Jackie Baier e Gwen Haworth, entrambi esperti documentaristi. Slogan del film: rompere gli stereotipi, creare confusione e celebrare la diversità!
EVERYTHING THAT RISES MUST CONVERGE (Omar Fast, Ger-USA). Lo schermo viene suddiviso dal montaggio in quattro riquadri che contengono il diario giornaliero di quattro attori porno, dalla sveglia mattutina al riposo notturno.
Due donne e due uomini, sulla trentina, si incontrano, lavorando scambiano sesso tra loro e a fine giornata si salutano cordialmente come ordinariamente si fa tra colleghi d’ufficio. Contrapposizione lineare tra la routinarietà di quel che e’ rispetto alla straordinarietà di quel che sembra.
Con uno sfondo sociale e umano che non appare ma che preme per emergere e che a ogni spettatore viene offerto di scandagliare.
Ma veniamo ai ruggiti.
Orso d’Oro per il miglior film:
Al produttore
Qu Vivian, Wan Juan per
Bai Ri Yan Huo
(Black Coal, Thin Ice)
di Diao Yinan.
Il film esplora i sentimenti di un poliziotto sulle tracce di una serial killer di cui ben presto si innamora. A quel punto la sua vita è in pericolo ma anche il suo equilibrio mentale. Non è sempre facile separare innocenza da colpevolezza, il sentimento dal dovere d’ufficio. Pur nella struttura classica del noir in cui si fronteggiano poliziotto e femme fatale e nell’ordinarietà dei caratteri dei due personaggi, Diao Yinan al suo terzo lungometraggio, riesce a comporre un’indagine psicologica raffinatissima e a raccontare la Cina di oggi e la sua decadenza morale. Non si può che essere d’accordo con la giuria.
Orso d’ Argento, Gran Premio della Giuria:
The Grand Budapest Hotel
di Wes Anderson, sperpero di talenti e mezzi per il ciclico nuovo-genio-americano che dopo due film estrosi sbraca sugli allori avendo esaurito tutta o quasi la sua poetica.
Orso d’argento Alfred-Bauer al film che apre nuove prospettive a:
Aimer, boire et chanter
(Life of Riley)
di Alain Resnais che contornato dai fedelissimi André Dussollier e Sabine Azéma confeziona una dignitosa commedia degli equivoci, della quale tutto si può dire tranne che sia tra le sue più riuscite e soprattutto che apra innovative prospettive. Pur rimanendo, il novantaduenne regista, l’indiscutibile maestro della Nouvelle Vague.
Orso d’argento per la migliore regia a
Richard Linklater per
Boyhood
Ogni anno, a partire dal 2002, gli stessi attori rappresentano le vicissitudini di una famiglia. Mason (Ellar Coltrane) dai primi giorni di scuola fino al suo ingresso al college. Suo padre (Ethan Hawke) un uomo ancora immaturo e sua madre (Patricia Arquette) che per non essere da meno si innamora sempre del tipo sbagliato. La delusione del regista e del cast è palpabile e non si può dargli certo torto rispetto all’esito di quello che è stato definito, pur con esagerato entusiasmo, il capolavoro di Berlino 2014.
Orso d’argento alla miglior attrice:
Haru Kuroki in
Chiisai Ouchi
(The Little House)
di Yoji Yamada.
Discutibile.
Orso d’argento miglior attore
Liao Fan in
Bai Ri Yan Huo
(Black Coal, Thin Ice)
by Diao Yinan.
Ampiamente meritato.
Orso d’argento miglior sceneggiatura:
Dietrich Brüggemann, Anna Brüggemann for
Kreuzweg
(Stations of the Cross)
di Dietrich Brüggemann.
La famiglia (cattolica) che opprime i suoi figli lungo le quattordici tappe di una interminabile via Crucis. Avrebbe certamente meritato un premio più importante l’unico film tedesco premiato tra uno schieramento massiccio di ben nove titoli di cui quattro in concorso. Delusione anche per l’esordiente inglese Yann Demange e il suo notevolissimo “71” rimasto a bocca asciutta.
Orso d’argento per il miglior contributo artistico a:
Zeng Jian per le riprese del patetico anche se ben recitato.
Tui Na
(Blind Massage)
di Lou Ye, ambientato in un modesto centro di massaggio nella Cina contemporanea.
Per fortuna però gli Orsi hanno anche una coda.
Giuseppe Becce, veneto da Lonigo, fu il primo musicista a sonorizzare un film: il Richard Wagner di Carl Froelic (1913). Fino al 1959, collaborando con i più grandi registi, tedeschi e non, arrivò a comporre 213 colonne sonore originali. Largamente misconosciuto in Italia è considerato l’iniziatore della musica da film e non solo in Germania.
Quest’anno il premio della Critica Indipendente a lui intitolato è stato consegnato a Stefano Vastano, collaboratore dell’Espresso e come Becce, cervello italiano trasferitosi a Berlino per vocazione.
Analogo riconoscimento è stato assegnato ai film:
Nagima di Zhanna Issabayeva (Kazakhstan 2013) presentato nella sezione Forum e Patardzlebi di Tinatin Kajrishvili (Georgia / Francia 2014) presentato all’interno del segmento Panorama.
Ritratti di donne in lotta per tutte le emancipazioni.
Vincenzo Basile
Nymph( )maniac è arrivato anche alla Berlinale 2014. Si scandalizzi chi può! di V.B.