Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

17/11/24 ore

Dallas Buyers Club, l'antieroe texano senza vittimismo


  • Adil Mauro

Vent'anni fa Tom Hanks vinceva l'Oscar per il miglior attore protagonista con Philadelphia, la commovente storia di un avvocato gay e sieropositivo. Matthew McConaughey potrebbe presto ripercorrere le orme di Hanks con la sua interpretazione in Dallas Buyers Club.

 

Ron Woodroof, il personaggio di McConaughey, a differenza di tanti altri malati di Aids visti sul grande schermo sembra quasi costruito a tavolino, per quanto è sgradevole. Drogato, disonesto, avido e omofobo. Se pensate ad un difetto è assai probabile che lui ce l'abbia. Come in ogni viaggio di celluloide che si rispetti, il nostro antieroe texano perderà lungo il tragitto alcuni tratti negativi – almeno i più evidenti – grazie all'amicizia con la compassionevole dottoressa Eve Sacks (Jennifer Garner) e la fragile transessuale Rayon (Jared Leto).

 

Quando nel 1986 gli venne diagnosticato l'HIV i medici gli diedero 30 giorni di vita. Ne passarono 2557 prima della sua morte nel settembre del 1992. Il propellente che lo tenne in vita così a lungo, ben oltre le aspettative della comunità scientifica del tempo, fu la rabbia. Questo sembra pensare McConaughey quando descrive così il “suo” Ron: amante delle donne e del rodeo, con un corpo emaciato ma sempre scattante nonostante il corso implacabile della malattia.

 

Nel film, oltre al virus, l'altro nemico giurato di Ron è la FDA (Agenzia per gli Alimenti e i Medicinali). Agli inizi dell'epidemia le grandi case farmaceutiche trattarono i primi pazienti con dosi massicce di AZT, un farmaco che in seguito si rivelò utilissimo – purché assunto in dosi minori – nella lotta all'HIV.

 

Ron, per cercare farmaci e cure più efficaci, girò il mondo (Messico, Giappone, Europa...) e fondò a Dallas un “club” dove, dietro pagamento di una tassa d'iscrizione, si poteva ricevere un cocktail “alternativo” di medicine. Questa è una delle scelte narrative più apprezzabili di Dallas Buyers Club: il protagonista non è un samaritano, e se alla fine diventa in qualche modo una persona migliore lo deve soltanto alla sua rabbia.

 

Contro la malattia, la FDA e la comunità medica che “stroncava” i suoi amici con quantità industriali di AZT. La bellezza del personaggio di McConaughey è tutta qui, nella pressoché totale assenza di vittimismo che ci accompagna per l'intera durata del film.

 

Il regista Jean-Marc Vallée non estorce allo spettatore facili lacrime: i lutti e le sofferenze che Ron deve affrontare nell'arco di sette anni vengono affrontati con estremo pudore. L'interpretazione di McConaughey è ragguardevole. La difficile trasformazione – penso ai venti chili persi per calarsi nei panni del personaggio – poteva diventare una scorciatoia per un attore pigro (basta agitarsi per il set come uno spettro per commuovere il pubblico).

 

McConaughey ci sfida invece come avrebbe fatto Ron con i tori che amava cavalcare: con rispetto e senza sconti. Nell'ultimo anno Matthew McConaughey ha impresso una svolta impressionante alla sua carriera, lasciandosi definitivamente alle spalle in poche mosse (Dallas Buyers Club, la serie HBO True Detective e una significativa particina in The Wolf Of Wall Street di Martin Scorsese) la fama di star dal fisico scolpito, adatta solo per film d'azione e commedie sentimentali.

 

- Dallas Buyers Club, un inno alla dignità di Florence Ursino


Aggiungi commento