Ben 21 mila agenti di frontiera armati fino ai denti pattugliano il cosiddetto BorderFence, muro ipertecnologico lungo 1200 chilometri che separa il Messico dagli Stati Uniti d’America.
Questo generoso regalo dell’amministrazione Bush è linea di confine con la terra promessa e luogo di appuntamento con la morte allo stesso tempo. Ma il miraggio di farsi una nuova vita negli Usa, per molti dei migrantes che tentano di passare illegalmente, svanisce… e spesso in maniera tragica.
La severità al confine è molto aumentata durante la presidenza Obama e i clandestini sono coscienti di rischiare la vita. Spesso, negli indumenti di quelli che non ce l’hanno fatta, si trova un messaggio con indirizzo e nome dei familiari: “Se mi trovate morto, avvertite la mia famiglia”.
Come se non bastasse i 5.000 chilometri di territorio messicano prima della frontiera con gli Stati Uniti sono terra di nessuno, lande desolate in cui crudeltà e maltrattamenti sono gli unici codici in vigore. Banditi, trafficanti e poliziotti senza scrupoli sottopongono i migranti ad ogni sorta di abuso.
Le famiglie vengono divise, i neonati strappati alle madri, i bambini picchiati durante il processo di espulsione, per le donne poi, l'ipotesi di diventare vittime di uno stupro è una certezza quasi matematica al punto da prendere precauzioni prima di lasciare il loro paese.
Sempre più sono coloro che s'iniettano il Depo-Provera, un composto anti-concezionale costituito da un solo ormone che impedisce il rilascio dell'ovulo per tre mesi.
Un rimedio ormai così tristemente comune da essere stato ribattezzato da un buon numero di esperti "l'iniezione anti-Messico".
Terrificanti realtà sulle quali il regista Diego Quemada Diéz ha valorosamente deciso di costruire il suo magnifico “La jaula de oro” (La gabbia dorata).
La disperata odissea dei quattro adolescenti Juan, Sara, Samuel e Chaunk, un indio del Chiapas legato spiritualmente alla sua terra in maniera potentissima. Insieme tenteranno di raggiungere gli Stati Uniti alla ricerca di un futuro migliore.
Per molti ragazzi dei villaggi poveri del centroamerica un vero e proprio rito iniziatico.
La jaula de oro sfata l’idea che la felicità ci attende in un luogo lontano e ci guida, non senza poco dolore, verso la consapevolezza di ciò che divide gli esseri umani. L’individualismo è un’illusione, una menzogna raccontata dalla società, da soli non possiamo fare nulla.
Diéz ha realizzato la struttura narrativa di questo racconto basandosi sulle testimonianze di centinaia di migranti.
Per interpretare i ruoli principali ha scelto invece giovani selezionati nei quartieri più poveri e pericolosi del Guatemala e nei villaggi remoti delle montagne del Chiapas. I ragazzi non hanno mai letto la sceneggiatura; prima di ogni scena Diéz si serviva di semplici indicazioni incoraggiandoli poi a vivere in maniera viscerale quello che sarebbe accaduto attorno a loro.
Il risultato è stato straordinario.
La sofferenza creata da quel muro e la realtà dell’America Latina esigono che il cinema dia prova di un impegno profondo e Diéz, vincitore di più di cinquanta premi di critica internazionale, ha amalgamato in maniera esemplare e con grande coraggio arte vera e denuncia sociale.