Voglio vivere così (Mattoli 1942), apre trionfalmente questo festival internazionale del cinema e delle arti a Trieste che celebra il suo dodicesimo compleanno dopo l'anteprima romana del 10 e 11 scorso alla sala Trevi. Manifestazione sempre incerta a causa delle risorse pressoché inesistenti ma coraggiosa nelle scelte artistiche e nella tenacia con cui i suoi promotori, Sergio M. Germani in testa, continuano a sostenerlo con appassionata dedizione.
Omaggio anzitutto ad Attilio Chiappai, il collezionista sardo trapiantato nel trevigiano che ha lasciato ai suoi eredi un migliaio di pellicole, molte delle quali di notevole interesse storico oltrechè artistico che la Cineteca del Friuli, grazie all'aiuto della figlia Dolores Cappai, è riuscita ad acquistare.Tra i titoli più importanti Lo spretato di Leo Joannon, storia di un ex pretee fine intellettuale chesi arrovella sul rifiuto della sua fede fino a perdersi schiacciato dal suo stesso tormento.Un film coraggioso ed esemplare nel denunciare, attraverso il magnifico protagonista Pierre Fresnay, le colpe e le gravi manchevolezze e contaddizioni dell'istituzione "Chiesa" ma che in corso d'opera cede parzialmente proprio a quelle logiche dottrinarie che tante anime continuano ad allontanare dal culto.
E poi l'altro omaggio, quello al cinema di Zurlini, da Cronaca Familiare, soggetto di Vasco Pratolini, a Seduto alla sua destra, ispirato alla vita del leader congolese Lumumba in cui, come il ladrone crocefisso alla destra del Cristo al suo cospetto si redime, un piccolo lestofante (Franco Citti) si eleva nella vicinanza a leader pacifista nero con cui condivide cella e torture loro perpetrate dall'esercito colonizzatore belga. In programma anche La prima notte di quiete e Il deserto dei Tartari fino al meno noto La promessa.
Presente in sala ad accompagnare le proprie creature, il zurliniano di ferro, Gianni Da Campo che merita un'attenzione particolare considerata quella che gli dedico' la Censura nazionale tra la fine degli anni '60 e gli inizi dei '70, bloccando l'uscita in Italia dei suoi primi due lungometraggi che raccolsero poi all'estero decine di premi internazionali (uno tra tutti la Palma d'Oro nella sezione giovani, a Cannes '67). Pagine chiuse (la solitudine di un undicenne confinato in un collegio religioso, causa divorzio dei suoi) e La ragazza di passaggio "su quei dolori dai quali si guarisce, qualche volta con il crescere dell'età" (Kezich '77).
Lo spazio più ghiotto del festival è forse quello dedicato ai cortometraggi,alcuni dei quali inediti, di autori giovani più tardi consacratisi talenti portanti del cinema italiano.
Come i tre di Dino Risi, ritrovati casualmente all'interno dell'Archivio del Duomo di Milano. Nel primo, Verso la vita, il regista rivela la fortunosa sopravvivenza, fu all'epoca calcolato, di circa cinquecentomila bambini e ragazzi sopravvvissuti alle atrocità della guerra, orfani abbandonati a se stessi in una deriva fatta di furti,vizio e disperazione assoluta, randagi nelle grandi città, privi di ogni conforto, sostegno, guida e calore morale e materiale. E del temporaneo recupero di uno di loro presso un gruppo estivo di Boy Scout che all'inizio dell'autunno romperà le righe restituendo il ragazzo alla strada e ai suoi stenti. Tigullio Minore descrive la vita di un paesino di pescatori liguri che celebra un funerale presso il cimitero di un'isoletta vicina alla costa.
In "1848", prodotto in occasione del centenario delle cinque giornate di Milano, assistiamo alle gesta di una Lucia Bosè-pasionaria alla sua prima apparizione cinematografica in assoluto che, imbracciando impavida un moschetto, guida spavalda alla vittoria il suo squadrone di rivoltosi. Poeti e scrittori anglosassoni a Roma è invece il titolo di un Pietro Germi alle primissime armi, insospettabilmente aulico nel raccontare pensieri e gesta degli artisti inglesi trasferitisi nel tempo a Roma in cerca di ispirazione e gloria. A concludere il racconto, una carrellata sulle lapidi di Shelley, Keats e Byron i quali, riuniti nel piccolo cimitero inglese ai piedi della piramide Cestia insieme ad altri illustri vicini, si scambiamo, tradotti dalla voce narrante fuori campo, fini versi e illuminati aforismi.
In Appunti su un fatto di cronaca, LuchinoVisconti, già noto per il consenso riscosso per Ossessione e La terra trema, commenta con poche frasi tratte da un testo di Vasco Pratolini le immagini in bianco e nero della nascente borgata romana di Primavalle, teatro dell'infelice ed eternamente ciclica storia di una dodicenne assassinata da un bruto, la piccola Annarella.
Tra la Gente del Po è invece Antonioni il testimone delle abitudini dei pescatori e delle loro famiglie che vivono nei poveri capanni di paglia ai margini del fiume nel punto in cui diventa navigabile. Dei suoi alti e bassi che richiedono la continua attenzione verso una pericolosità sempre imprevedibile per chi di quel fiume vive o sopravvive.
A vederli oggi opere assolutamente dignitose ma non certo rivelatrici delle capacità straordinarie dei loro autori, alcuni dei quali all'epoca ancora alla ricerca di una loro identità o di un loro linguaggio. Ne è la prova quello che colpisce più di tutti, il documentario di Giulio Questi: Om ad Po.
Gli Om erano dei single militanti, diremmo oggi, che vivevano da eremiti in tuguri di canne e paglia, con quello che la deriva del fiume abbandonava sugli argini e che loro raccoglievano: legna da far asciugare al sole per scaldarsi, qualche ortaggio o un arnese di uso quotidiano. Personaggi fatti apposta per alimentare ogni genere di mito o leggenda per la temerarietà delle condizioni di vita a cui si adattavano pur di sottrarsi alla socialità e agli obblighi da essa derivanti. Salvo poi, ai primi freddi, andare a bussare alle porte sempre accoglienti dei pescatori, poveri anche loro ma certo meglio attrezzati e organizzati tra loro, sempre disponibili a dividere la minestra e il calore cordiale nel quale i bambini potevano finalmente avvicinarli, esorcizzando così le paure connesse a questi umili outsider per vocazione.
Essenziale la monografia dedicata al regista francese Maurice Cloche con la serie tra cui svetta Monsieur Vincent, vita e opere di quel San Vincenzo de Paoli che riuscì a convincere la monarchia francese del '600 a farsi carico degli indigenti, precorrendo di secoli lo stato sociale, con il già citato Pierre Fresnay grande al punto da far dire a Jen Bernard-Luc: "questa non è un interpretazione ma una reincarnazione! ".
Lo sguardo al presente è per Diane Sara che tra Parigi, Berlino, Montreal e New York ricostruisce se stessa in videocamera nel racconto dei suoi ultimi due anni di crisi personale, con Britney Spears nume tutelare dell'intera operazione dal titolo: Quand Je serai grande je serai footballeur. Punto di partenza del lavoro i due corti di quattro, La femme enfant e sette minuti,Une passion. I tre filmati nelle intenzioni dell'autrice, vogliono riferirsi stilisticamente al realismo anche se, per sua stessa sincera ammisione, "non sa nulla di Rossellini". Più realista di così! ...
Si arriva quindi all'ultima delle cinque giornate e inizio nottate, con la consegna da parte del direttore del festival Sergio M. Germani, del premio Anno Uno 2013 a Franco Maresco per il suo ultimo film: Io sono Tony Scott, Ovvero come l'Italia fece fuori il più grande clarinettista del jazz.
Vita anarchica e opere esemplari di Anthony Joseph Sciacca, considerato fra i migliori strumentisti della scena jazz di tutti i tempi e miglior clarinettista del mondo per cinque anni consecutivi durante i fab fifties secondo le classifiche stilate dai giornali specialistici ma genio incompreso in Italia dove si trasferì negli ultimi '60.
Nato negli Usa da genitori siciliani, amico personale di Billie Holiday, Charlie Parker e Dizzy Gillespie in quegli anni quaranta dove per un musicista bianco era impensabile far parte dell'aristocrazia jazz afroamericana del Be Bop, si distinse subito nel portare orchestralmente in primo piano uno strumento che per fattura e materiale di costruzione non sembrava potesse competere con i più nobili ottoni.
E in questo ebbe un rivale tostissimo, Buddy De Franco, di diversa impostazione tecnica, più scolastica e di testa, in contrapposizione alla sua sensibilità mediterranea che lo portava a definirsi "un musicista siciliano", capace di trasporre l'innovazione del sassofonista Parker su uno strumento che sembrava nel migliore dei casi, costretto a rinverdire i fasti di chi per primo lo aveva valorizzato, un altro bianco illustre, Mr.Benny Goodman.
Appassionato esploratore di generi e stili, alla fine di un tour giapponese decide di approfondire la musica di quell'area e sperimentando insieme a dei suonatori di Koto l'accompagnamento musicale di una classe di buddisti Zen in meditazione, compie i primi passi precorrendola, in quella che sarà poi chiamata World Music, per trasferirsi subito dopo con la seconda moglie e la figlioletta, in Europa e, inseguendo le proprie radici, definitivamente in Italia.
Ma Palermo prima e Roma poi, trascurarono l'uomo e ignorarono l'artista e la sua opera, ridotta in breve tempo a intrattenimento di piazza sui palchi delle saghe strapaesane. È lo stesso Maresco a rivelare nel film la acquiescenza di Scott, dovuta alla sua vocazione autodistruttiva che è la stessa del regista, con il proprio destino. "Questa fascinazione è stata la molla che mi ha spinto a realizzare il film". Proseguendo nell'intervista in sala subito prima della proiezione: "Quello che succede in questo paese oggi come allora, è che non c'è una vera libertà. [...] Perchè se dici qualcosa utilizzando un tuo linguaggio, non affine a quelli riconosciuti e standarizzati, sei praticamente morto".
Ma il pessimismo dell'autore viene a quel punto stemperato durante la consegna ufficiale del premio,consistente in uno specchio rotondo, che diventa gag comica improvvisata dal regista il quale, ammettendo la sua patologica superstizione, riceve l'oggetto e lo passa immediatamente in custodia al suo assistente: "è la sera di martedì 17 di un festival iniziato di venerdì 13!" - dichiara. "Con queste premesse questo premio non può che sanzionare la fine della mia carriera", osserva tra il divertito e il preoccupato.
E quando il direttore aggiunge al premio l'offerta di un omaggio enologico sperando così di alleggerire la tensione creatasi, lui rincara innocentemente specificando di essere "da sempre,completamente astemio".
A chi andrà la preziosa cassa di vino friulano? Finale aperto.
Vincenzo Basile