Ingresso trionfale per Faye Dunaway domenica sera dal red carpet direttamente sul palco di Piazza Grande, scortata da Carlo Chatrian e dal presidente del Festival, Carlo Solari. Dopo la lettura di un foglietto di appunti di ringraziamento, come sempre affascinante e carismatica nonostante qualche dignitoso ritocchino e il tacco “0”, ha osservato come “a Locarno io abbia sentito maggiormente che a Venezia o a Cannes, la passione per il cinema, sia nella risonanza del pubblico che attraverso i ricordi dei periodi difficili della mia carriera quando fare cinema a Hollywood era assolutamente impegnativo e totalizzante. Passione necessaria per andare avanti e crescere artisticamente perché il cinema è l'insieme di tante arti, recitazione, musica, fotografia ecc. E tale sua natura lo rende incredibilmente complesso”.
E poi, ingigantita sullo schermo più grande del mondo, l'irradiazione di quel suo personalissimo charme quando riceve il pardo d'oro e lo bacia, american way, a più riprese .
Svanita tra gli applausi la scia della star, il palco accoglie l'ingresso del cast del film La variabile umana, il regista napoletano Bruno Oliviero, l'esordiente protagonista Alice Raffaelli, Silvio Orlando, Giuseppe Battiston e Michael Stevens compositore abituale delle colonne sonore per i lavori Clint Eastwood.
Assente giustificata Sandra Ceccarelli.
Orlando agguanta subito il pubblico: "Ticinesi presenti... integratevi con l'Italia e diventatene il Nord ! Smettete di essere il sud Elvetico!" Rassicurati, gli svizzeri applaudono. Subito dopo a una domanda tecnica, un po’ impegnativa, di Chatrian risponde: "Dovete sapere che da mezzogiorno in poi la signora che mi ospita ha continuato a offrirmi dello champagne e siccome è impossibile rifiutarlo io adesso vi vedo... non siete 8000 (la capacità massima di posti a sedere di Piazza Grande, n.d.r.) ma almeno 16000...32000. 64000...! Per cui questa domanda è troppo difficile per me... in questo momento" e a seguire, un immediato scroscio di applausi sinceri rivolti all'onestà del piccolo grande uomo del cinema italiano.
Il film avrebbe dovuto essere, nelle intenzioni del regista e nel suo divenire attraverso il susseguirsi delle riprese, un noir "atipico" nell'includere all'interno della trama i temi dell'immobilismo politico nazionale, del marasma generazionale in atto, del decadimento economico e sociale della cosiddetta 'capitale morale' non più da bere, come si continua a definirla in mancanza di altrettanto efficaci rappresentazioni.
La Sodoma del nord giustapposta alla Gomorra del sud, come dichiara il regista. Il commissario Monaco (Orlando),vedovo isolatosi da tre anni nel suo lutto e in difficoltà di rapporto con la figlia in piena alienazione adolescenziale è costretto dal suo capo a indagare su un delitto eccellente a sfondo erotico e per questo a lasciare il suo guscio protettivo di riservata apatia per addentrarsi in un percorso di autoconoscenza doloroso quanto quello di accettazione della diversità della figlia, disorientata dai cambiamenti dovuti all'età che attraversa, dall'ambiente che vive e dall'epoca di riferimento.
Ma il ritmo e il sapore tipico del poliziesco latitano a favore di un intimismo cupo dei caratteri, negli esterni plumbei di una Milano diventata provinciale, degradata e svilita dal tramonto del suo sogno di esuberanza produttiva e finanziaria. Ma la Piazza sotto le stelle sbadiglia nonostante la dignitosa colonna sonora di Stevens tenti di alleggerire una palpabile noia.
Il personaggio interpretato dalla giovane Raffaelli, reclutata ancora acerba alla scuola milanese del Piccolo, rimanda più alla tipica rampollina-viziata-alto-borghese che alla figlia di un funzionario di polizia alle prese con l'ultima settimana di stipendio.
Silvio Orlando suona invece abilmente delle corde mai sfiorate convincendo ampiamente e lo stesso risultato in termini di qualità è raggiunto sia da un Battiston più empatico del solito che dalla misuratissima Ceccarelli. Un finale virato più sul "tengo famiglia" che su una valutazione profonda di quella variabile umana promessa dal titolo.
Applausi proporzionati.
Il film del giorno è però l'atteso francese Gare du Nord di Claire Simon con una Nicole Garcia in grande forma.
Parigi.La Gare du Nord è la grande bolla dove gli innumerevoli destini che la percorrono a volte si incontrano, fondendosi, litigando, discutendo, scoprendo le infinite alterità di un universo umano ribolllente di pulsioni, obbiettivi, vendette e riscosse, di voglia di costruire e di sparire al volgere degli eventi più imprevedibili. Una docente universitaria di mezza età (Nicole Garcia) incontra uno squattrinato, giovane studente algerino che raccoglie sondaggi tra i viaggiatori in corsa per e dai treni, per sopravvvivere e finire la sua tesi di sociologia ambientata appunto all'interno della Gare di Nord. E a entrambi si aprono prospettive inattese, dalla più nera disperazione alla piena realizzazione personale, tra paure incertezze e un finale aperto che meritoriamente lo candida al Pardo Internazionale.
Vincenzo Basile
Le luci di Locarno sul (ex) Principe delle Tenebre di V.B.