Abbas Kiarostami (fra i suoi film più celebri 'Copia conforme', 2010), eclettica figura di uomo di cultura e cineasta affermato, iraniano, mi è stato definito da un amico competente che ha facilità nel sentenziare icasticamente "regista presuntuoso per cinefili masochisti". Capisco quel che intende dire.
Anche il suo ultimo film 'Qualcuno da amare' potrebbe leggersi in una siffatta chiave, può essere valutato con perplessità, può, a tratti, essere persino irritante, per lentezza degli sviluppi, per lunghi tratti in cui gli attori tacciono, e in cui il movimento e la stasi delle persone dominano la scena.
E' un film che non ti stordisce di emozioni, ma è anche un film che fa riflettere, sia durante che dopo la visione, e che non è affatto privo di elementi di interesse e di fascino. Akiko (Rin Takanasshi), una bella studentessa in sociologia, volente o nolente, per noia o per necessità si prostituisce. Non è chiaro quanto ciò le serva anche per mantenersi agli studi.
Ella adesca clienti in un pub di Tokyo. Il suo "datore di lavoro", insistente ma quasi affettuoso, riceve una prenotazione da un anziano professore universitario in pensione, di nome Takashi. Un viaggio di un'ora in taxi (una parte non trascurabile del film ci fa attraversare coi protagonisti una notturna ma non turistica Tokyo) la porta da lui.
Il professore prepara una cena e l'apparecchiatura, desidera amicizia e compagnia più che una prestazione sessuale. La ragazza è stanca, si infila nel letto in attesa. L'indomani mattina ritroviamo il professore che la accompagna all'università dove la giovane deve sostenere un esame. Viene verbalmente aggredita dal suo ragazzo, un meccanico gelosissimo e violento, con le attitudini dello stalker.
Questi vede l'auto di Takashi stazionante davanti all'università, si avvicina, attacca discorso con Takashi. Crede (così gli viene detto) che il conducente sia il nonno della giovane. Quando saprà che altra è la realtà e che è stato ingannato la sua rabbia sarà difficilmente contenibile. L'opera di Kiarostami mette a contatto generazioni diverse ed è un'opera sulla difficoltà di comunicare, sulla solitudine, sulla nevrosi metropolitana, sulla noia, persino.
Il vecchio alla guida, con la giovane nell'auto ricordano vagamente, situazionisticamente - se l'espressione non è troppo impropria - il viaggio in auto di Isak Borg e dei suoi giovani compagni del Posto delle fragole di Bergman (1957).
Non mancano affatto i momenti di suggestione: la scena iniziale nell'interno del locale dove Akiko lavora; la giovane che ascolta in taxi una serie di messaggi di sua nonna che la è venuta a trovare a Tokyo sperando di vederla, e lanciandole telefonicamente una serie di possibilità di appuntamento di volta in volta deluse cui la ragazza, chiamata al suo destino e al suo mestiere, sceglie definitivamente non senza sofferenza di non presentarsi.
Alcuni dialoghi tra il professore e la ragazza (ad esempio quando incuriosito l'anziano le chiede se quel ragazzo violento le piace per questo, senza ricevere risposta); certe riprese nella bella casa piena di libri del docente, cui lo studio e la ricerca non tolgono nulla in malinconia e in inquietudine.
Un pezzo di vita di due-tre persone i cui destini si incrociano casualmente, senza un inizio e con una fine improvvisa (che non è una fine), fragorosa come il vetro di una finestra che viene frantumata dal lancio di un oggetto.
Giovanni A. Cecconi