Circola da alcuni giorni nelle sale italiane l'ultimo lavoro di Giuseppe Tornatore, La migliore offerta, girato in realtà in lingua inglese (col titolo The best offer) a Vienna e in una serie di altre città europee. Si tratta della parabola di Virgil Oldman (Geoffrey Rush), un formidabile esperto d'arte, battitore nelle più importanti case d'asta del mondo, la cui esistenza, elegantissima e mondana, si evolve senza scosse lungo una sotterranea linea di penoso nulla sul piano affettivo.
A sessant'anni, l'uomo non ha mai avuto amori né ha mai conosciuto carnalmente l'altro sesso. I guanti indossati da Virgil anche quando mangia sono la metafora della sua separatezza dalla realtà quotidiana, della sua incapacità di affrontare ciò che non sia parte strettamente della sua attività di critico e attributore di successo.
Il suo rapporto con il mondo femminile si esaurisce nelle alte pareti di una grande sala di casa sua, dove sono appese decine di quadri con ritratti di donne. Icasticamente rivelatrice di questo aspetto è una frase di Billy (Donald Sutherland: che emozione riconoscere nel suo sguardo di anziano la lucida follia dell'attore de Il giorno della locusta di Schlesinger o del Casanova di Fellini!), pittore fallito e frustrato anche dal fatto di non essere apprezzato da Virgil.
Billy la rivolge proprio all'"amico" e compagno di affari spesso poco puliti, ed è una frase che suona più o meno: "sono io a averti procurato le donne"; Sutherland si riferisce ai quadri, ma lo spettatore pensa per un attimo ad altro, per esempio che Virgil sia dedito a compensare la sua solitudine frequentando prostitute; ma non è questo.
Quei ritratti che custodisce gelosamente sono davvero le uniche donne dell'intera vita di Virgil, raffigurazioni che hanno un enorme valore venale, ma anche un valore diverso, che in qualche modo abbraccia un'intimità sentimentalmente deviata, inconsapevolmente repressa, che Virgil non senza sforzo e costi riuscirà a recuperare, a incanalare tutto sommato lungo un solco di maggiore normalità, come emerge dallo sviluppo dell'intreccio.
Per tutta la prima parte del film non si ha sentore di quanto la sua vicenda personale lo renda debole e lo esponga a rischi di varia natura. Poi, tutto è determinato dall'incontro con Claire Ibbeson (Sylvia Hoeks) una inafferrabile ventisettenne sofferente di una strana forma di agorafobia, la quale riesce a ottenere proprio da lui, autorità mondiale nel suo campo, un inventario dei beni d'antiquariato conservati nella villa dove abita (le scene della villa sono girate a Gorizzo di Camino al Tagliamento, Udine).
Tale incontro avrà un fortissimo impatto (positivo e allo stesso tempo distruttivo) su Virgil, che si innamora della donna, si dedica a lei e alla sua malattia, sembra riuscire, anzi riesce, a conquistarla facendosi consigliare nelle sue inedite faccende amorose da Robert (Jim Sturgess), giovane tombeur de femmes ma abilissimo nel ricostruire marchingegni meccanici, al quale Virgil si rivolge quando si imbatte nel corso dei suoi sopralluoghi in aggeggi meccanici antichi.
Presto Virgil, travolto dalla passione verso Claire, diventerà incapace di curare la sua attività, sino al punto di decidere di ritirarsi. Non è lecito dire di più di questo brillante thriller-melò, musicato dal maestro Ennio Morricone, ben costruito sul piano narrativo (solo alla fine lo spettatore ha consapevolezza di quanto sia accaduto, con uno scioglimento tanto efficace quanto inatteso), inappuntabile sotto il profilo scenografico (il manierismo ridondante di Tornatore qui ben si adatta al soggetto), con ricostruzioni pregevoli degli ambienti del commercio antiquario, con le loro manie e i loro imbrogli, ma anche con il loro fascino un po' torbido.
I piani di lettura si aggregano intorno a pochi nuclei principali, fra loro interconnessi: l'arte e la vita, cioè il denaro e l'amicizia, il lavoro più straordinario e l'amore più difficile. Sarà banale, ma non si può fare a meno di osservare come il filo conduttore tematico di questo film (come e più di altri del cineasta siciliano) sia tutto una variazione sul tema della realtà e della finzione, e, diremmo soprattutto, di quella componente di autenticità/verità che è inscindibile dalla finzione, anche la più perversa, quasi inglobata connaturalmente in essa.
Inoltre è anche la storia di un mutamento, profondo, abissale, forse inevitabile, della personalità del protagonista, una suggestiva rappresentazione delle stordenti sorprese che la vita può riservare a chiunque in qualunque momento.
Giovanni A. Cecconi