di Rino Mele
(da ‘Cronache Salerno’)
Furore è un luogo metafisico, appartiene alla Costiera come la Costiera appartiene a Furore, sembra venir fuori da uno specchio, dalla notte che il giorno nasconde. Lo stesso rapporto del falco e la preda, che è il mare.
Vi tornavo spesso, per incontrare un amico, Raffaele Ferraioli, sindaco da molti anni, tanti che la gente si scordava di quel titolo e lo chiamava "sindaco" come fosse il suo nome. Ora ch'è morto mi sembra che il paese si sia come allontanato, spostato da un misterioso vento. Raffaele lo chiamava "il paese che non c'è".
Cosa voleva dire? Lo aveva spiegato in un piccolo libro del 2013, che porta proprio questo titolo. Lui scrive: "Furore, il paese che non c'è, il paese non paese, col suo abitato sparso sui fianchi della montagna a strapiombo sul mare". In questa frase ci sono i tre elementi essenziali di quel testardo amore: le case, la montagna, il mare. Un amore materno, non predatorio, che solo i sogni conoscono e la realtà allontana.
Ascoltiamo mentre racconta e quel racconto chiama "favola": non per dirne l'irrealtà, ma per indicarne l'assoluta bellezza: "Durante i pleniluni estivi i fagiani partono in volo dai loro nidi di collina e vanno verso l'irresistibile campo di grano. Troppo tardi s'accorgono di stare inseguendo un'illusione e, urtando a grande velocità le onde, pagano con la vita l'emozione del sogno”.
Ecco, paragona il suo mare a un campo di grano maturo, e (come fanno gli abitanti della meravigliosa Costiera alta) lega strettamente il mare senza fine e la stretta campagna, contadini e marinai insieme. E che ci sia questa sovrapposizione nella prospettiva di chi è nato a Furore, lo evidenzia, in quel piccolo libro, lo stesso sindaco Ferraioli paragonando il mare verticale di quest'inimitabile paese a un pozzo, "il pozzo profondo di luce. L'atmosfera irreale e segreta come una favola”.
A Furore provi, davvero, la suggestione che il mare s'alzi e ti si ponga di fronte. Come uno specchio anamorfico, nel delirio dolce della bellezza. Vi sono andato spesso e a volte v'incontravo altri affascinati amici. Come Geppy Rippa e Valeria che venivano da Roma, per lui.
Perché se, andando a Furore, conoscevi Raffaele Ferraioli, avevi la sensazione di salire su una barca e, pur andando via, da quella barca non scendevi più.
Sant'Elia, Portella, Mola, Picola, Santo Jaco, Sant'Agnello, Li Summonti, Le Porpore, sono frazioni, parti di quell'impenetrabile unità, e sembrano urlare richiami indecifrabili. Tra il freddo improvviso del fiordo e il vento caldo che s'inarca come un lenzuolo, puoi conoscere le sirene: hanno, a Furore, code lunghe di volpi e pinne trasparenti d'indaco e azzurro, corpi levigati di fanciulle mai guardate da nessuno, che avvicinano la bocca e versano nel tuo orecchio il liquore del desiderio, l'arsura della rena, l'uva fragola che i piccoli denti rompono piano, nel piacere.
(da ‘Cronache Salerno’)
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