Se la coltivazione di una pianta geneticamente modificata è già stata autorizzata dall'Unione Europea un suo Stato membro non può bloccarla, nemmeno all'interno dei suoi confini.
Lo stabilisce una sentenza emessa dalla Corte di Giustizia europea lo scorso 6 settembre a favore della filiale italiana della multinazionale Pioneer Hi-Bred, che ha intentato un procedimento legale contro il Ministero dell'Agricoltura dopo che quest'ultimo le aveva negato l'autorizzazione alla coltivazione della varietà di mais transgenico Mon 810.
Già con la sua richiesta la multinazionale aveva sollevato un'importante domanda: può un singolo Stato dover autorizzare la semina di un organismo geneticamente modificato (ogm) quando esiste già una normativa comunitaria che ne permette la coltivazione?
La risposta, oggi, è chiara e afferma che l'assenza di leggi regionali che regolino la coesistenza di varietà non geneticamente modificate e ogm, motivo della mancata autorizzazione alla semina del mais Mon 810, non è un motivo sufficiente per non attenersi alle disposizioni dell'Unione Europea.
In altre parole, l'Italia non può bloccare la coltivazione di piante geneticamente modificate ammesse in tutta Europa per una sua lacuna legislativa. D'altra parte, la sentenza non apre le porte del Bel Paese ai campi transgenici. L'ultima parola spetta, infatti, al Consiglio di Stato. Sperando che non si tratti, piuttosto, dell'ennesima battuta di un dibattito senza fine.
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