Alla procura di Milano manca “una precisa disciplina” sui criteri di assegnazione dei fascicoli di indagine ai vari dipartimenti, e questo dipende da un progetto organizzativo che mostra “significative lacune”. Il quadro sconfortante è stato tracciato dalla Settima commissione del Csm, che ha approvato una relazione sul conflitto interno alla procura milanese tra il procuratore capo Edmondo Bruti Liberati e il procuratore aggiunto Alfredo Robledo.
Nella sua mozione finale, la Settima commissione, competente per l’organizzazione degli uffici, ha criticato il progetto organizzativo della procura di Milano, lamentando “il mancato aggiornamento del progetto organizzativo dell’ufficio” che “ha lasciato prosperare, su profili non codificati e con episodici effetti distorsivi sugli stessi criteri di assegnazione degli affari, prassi disomogenee”. Per addolcire la pillola, destinata a creare non pochi “effetti collaterali” sul futuro di una delle più importanti procure d’Italia (soprattutto in relazione all’incarico in scadenza di Bruti Liberati), la Commissione ha comunque sottolineato come i contrasti interni non abbiano comportato un pregiudizio per le indagini, che sono state condotte con tempestività ed efficacia.
Nello specifico, secondo la Commissione, Bruti Liberati avrebbe dovuto motivare le ragioni per le quali, prima solo verbalmente e poi con un provvedimento formale tuttavia in ritardo e privo di motivazione, assegnò a Ilda Boccassini, capo della Direzione distrettuale antimafia, l’indagine su Ruby. La motivazione sarebbe stata opportuna “per scongiurare qualunque possibilità di rischio di esporre l’ufficio al pur semplice sospetto di una gestione personalistica di indagini delicate concernenti un esponente di spicco della politica nazionale”, ha sottolineato la Commissione con riferimento a Silvio Berlusconi.
Anche nel caso del Ruby bis e del Ruby ter, per la Commissione sarebbe stato necessario un “formale coinvolgimento” di Robledo, coordinatore del dipartimento competente per i reati contro la pubblica amministrazione. La prassi sulla base della quale il fascicolo fu assegnato al pm Pietro Forno, infatti, “non si pone in linea con i criteri organizzativi dell’ufficio”.
La Commissione, dall’altro lato, rimprovera l’inerzia dello stesso Robledo nel sollecitare l’adempimento del fascicolo Sea da parte di Bruti Liberati, la “prospettata sovrapposizione di indagini” nel caso Expo, “l’insistenza nella richiesta di trasmissione di atti per i quali era già stato attivato il necessario coordinamento”, nonché la “prospettata messa a rischio della segretezza delle indagini Expo per effetto della trasmissione di atti al Csm”.
Per questi motivi, la Settima Commissione ha deciso di sollecitare la valutazione da parte del ministro della Giustizia Andrea Orlando e del procuratore generale della Cassazione di una possibile procedura disciplinare nei confronti di Bruti Liberati e Robledo.
Al di là della tendenza, fatta propria da una certa stampa, di schierarsi dalla parte di uno dei due contendenti, identificandoli con una determinata bandiera politica, restano alte le preoccupazioni attorno all’attività svolta da una delle procure più rilevanti nella storia giudiziaria (e non solo) del nostro Paese, così come resta significativa la questione dell’esistenza di un’ampia discrezionalità nell’interpretazione delle disposizioni che regolano la materia e sulla quale occorrerebbe, ora più che mai, riflettere.
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